Il Presidente Donald Trump ha ribadito l'intenzione di tagliare ogni legame tra gli Stati Uniti e l'Organizzazione Mondiale della Sanità, accusata di eccessiva indulgenza con la Cina nella fase di esordio della pandemia di COVID-19, e di destinare i fondi versati all'OMS finora ad altri progetti per la salute globale. Non è chiaro se la decisione possa avvenire senza il benestare del Congresso, ma la certezza è che questo ritiro - dopo quello altrettanto clamoroso dagli Accordi di Parigi - non potrebbe avvenire in un momento più sbagliato, e che andrebbe a minare la capacità del mondo di individuare e sconfiggere malattie letali.
Nel tessuto dell'organizzazione. Gli USA versano il 15% del budget totale dell'OMS (sono il singolo maggiore donatore: ne abbiamo scritto qui), ma la questione non è solamente economica. Abbandonando l'Organizzazione, che esiste dal 1948, gli Stati Uniti rinuncerebbero al ruolo avuto finora nello stabilire le priorità per la salute pubblica. Anche se Trump lamenta uno sbilanciamento a favore della Cina, infatti, finora altri Paesi avevano al contrario notato la massiccia influenza avuta dagli USA nel definire le priorità dell'agenzia, soprattutto all'indomani della discussa gestione dell'epidemia di Ebola in Africa occidentale nel 2014.
Dopo le prime, inadeguate risposte alla malattia, molti cambiamenti all'interno dell'OMS, come la creazione di un programma per le emergenze di salute pubblica, erano stati voluti proprio dagli Stati Uniti, che con il loro personale sono largamente presenti in tutti gli organi direttivi dell'OMS. È americana Maria Van Kerkhove, l'epidemiologa massima esperta di COVID-19 dell'OMS, a capo dell'Unità malattia emergenti e zoonosi, che affianca il Direttore generale Tedros Adhamon Gheybreyesus nelle conferenze stampa sulla pandemia, e lo sono anche molti membri dei comitati che consigliano l'OMS su cosa sia da considerare "emergenza di salute pubblica di interesse internazionale" (PHEIC).
Gettare la spugna. Eventuali "iniziative indipendenti" per la salute globale come quella menzionata da Trump dovrebbero tessere complesse relazioni internazionali, prima di poter intervenire con programmi concreti: come ben spiegato su Nature, non ci si può presentare in Afghanistan dall'oggi al domani e iniziare a vaccinare la popolazione. Oltretutto in certe zone di guerra, oggi, l'OMS è l'unica presenza internazionale accettata.
Rompere con l'OMS vorrebbe dire rinunciare alla leadership nella gestione dell'emergenza COVID-19 perdendo influenza sulle iniziative di salute pubblica che si occuperanno, per esempio, della distribuzione di farmaci e vaccini contro la malattia da coronavirus. Il rischio - concreto - è di prolungare l'epidemia e trascinare ancora più a lungo le sue conseguenze sociali ed economiche, negli Stati Uniti, dove sono già drammaticamente visibili, e in tutto il mondo.
Non solo COVID. Le conseguenze travalicheranno l'emergenza coronavirus fino a lambire battaglie che gli USA hanno sempre condotto in prima linea, come quella contro la diffusione dell'HIV e delle forme di tubercolosi insensibili ai farmaci, contro la malaria, il morbillo e l'antibiotico-resistenza. Particolare preoccupazione desta il programma di eradicazione della polio, che sta vivendo una fase critica con solo due Paesi in cui il virus è ancora attivo (Afghanistan e Pakistan) e le campagne di vaccinazione di massa bloccate dalle necessità di distanziamento sociale per il COVID. Eravamo a un passo dalla sconfitta definitiva di questa malattia, e la decisione dell'USA potrebbe compromettere gli sforzi compiuti finora.