Brian Shelton, uno statunitense di 64 anni affetto da diabete di tipo 1 è la prima persona al mondo ad essersi sottoposto a una terapia sperimentale messa a punto da Doug Melton, biologo dell'università di Harvard: nel suo specifico caso, grazie all'infusione di cellule (sviluppate a partire da staminali) che simulano quelle del pancreas e producono insulina, pare che ora il suo corpo riesca a regolare da solo i livelli di zucchero nel sangue. La notizia, riportata dal New York Times, ha inevitabilmente suscitato entusiasmi e speranze, ma gli esperti frenano: i primi dati sulla sperimentazione sono promettenti, ma gli studi non sono terminati né sono stati ancora sottoposti a revisione - ossia verificati da esperti non coinvolti nella ricerca.
Una lunga ricerca. Ci sono voluti vent'anni e 50 milioni di dollari per riuscire a convertire le cellule staminali in pancreatiche, e altri cinque anni per capire come produrle in grandi quantità con un metodo facilmente replicabile. Fino ad ora l'unico modo per una persona affetta da diabete di tipo 1 di dire addio alle punture di insulina era ricevere un trapianto di pancreas o di cellule pancreatiche (dette insulari), ma la scarsità di donatori rende questa soluzione una speranza remota per la maggior parte dei malati.


Dopo essere riuscito a ricreare in laboratorio le cellule insulari, Melton ha dovuto cercare un'azienda farmaceutica che credesse nel progetto e desiderasse finanziare i primi trial clinici su volontari umani. La Vertex Pharmaceuticals ha raccolto la sfida e gli studi continuano: dureranno altri cinque anni, e coinvolgeranno 17 volontari affetti da diabete di tipo 1 in forma grave. L'azienda non ha ancora annunciato il costo del trattamento, che sarà probabilmente piuttosto elevato.
Rischi e benefici. Dopo il trattamento Shelton non deve più sottoporsi a iniezioni di insulina ma dovrà assumere per il resto della vita dei farmaci immunosoppressori che impediscano al suo sistema immunitario di rigettare le cellule infuse. In tal proposito, «dobbiamo valutare attentamente il rapporto rischi-benefici tra la malattia e le potenziali complicazioni che potrebbero derivare dai farmaci immunosoppressori», avverte John Buse, diabetologo all'università del North Carolina.