Roma, 9 mar. (AdnKronos Salute) - Quando all'University of California (Berkeley) i bioingegneri dicono di parlare con il cuore in mano, non stanno ricorrendo a una metafora. Il gruppo di ricerca guidato da Kevin Healy, infatti, è riuscito a mettere il cuore umano battente su un chip. Una ricerca eccezionale, pubblicata su 'Scientific Reports' e corredata da un video, che è destinata a semplificare gli studi su nuovi farmaci e terapie. Il team ha realizzato una rete di cellule muscolari cardiache pulsanti, 'ospitate' in un piccolo dispositivo di silicone, che riproduce in modo efficace il tessuto del cuore umano. Non solo. Gli scienziati hanno dimostrato la fattibilità di questo sistema come nuovo strumento di screening per i medicinali, testandolo con noti farmaci cardiovascolari.
Dunque la banca degli 'organi su chip' vede ora una new entry, che rappresenta un importante passo avanti nello sviluppo di metodi accurati e più veloci per testare la tossicità e la sicurezza dei farmaci. Il progetto è finanziato attraverso il Tissue Chip for Drug Screening Initiative, una collaborazione lanciata dai National Institutes of Health per sviluppare chip in 3-D dei diversi tessuti umani. Un lavoro che punta a rivoluzionare la ricerca. "In ultima analisi, questi chip potrebbero sostituire l'uso di animali per lo screening della sicurezza e dell'efficacia dei farmaci", sintetizza Healy.
Gli autori dello studio sono partiti da un dato preoccupante: il tasso di fallimenti associato con l'uso di modelli animali non umani per prevedere le reazioni dell'uomo a nuovi farmaci. In gran parte questo è dovuto a differenze fondamentali nella biologia tra le specie, dicono i ricercatori. Dettagli biologici che variano - nel numero e nel tipo - tra esseri umani e altri animali, come i canali ionici. "Molti farmaci cardiovascolari bersagliano questi canali, quindi queste differenze spesso sfociano in esperimenti inefficienti e costosi, che non forniscono risposte precise sulla tossicità di un farmaco negli esseri umani", ha detto Healy. "Ci vogliono circa 5 miliardi di dollari in media per sviluppare un farmaco, e il 60% di questa cifra proviene dai costi iniziali della ricerca. Utilizzando un modello ben progettato di un organo umano - aggiunge - si potrebbero ridurre significativamente la spesa e il tempo necessari a portare un nuovo farmaco sul mercato".
Le cellule del cuore messe su chip sono derivate da staminali pluripotenti indotte, cellule adulte 'ringiovanite' che possono differenziarsi e diventare diversi tipi di tessuto. I ricercatori hanno progettato il sistema in modo che la sua struttura 3-D fosse paragonabile alla geometria delle fibre del tessuto connettivo in un cuore umano, realizzando canali che servono come modelli per i vasi sanguigni, e imitando lo 'scambio per diffusione' di nutrienti e farmaci nei tessuti umani.
In futuro, questo potrebbe permettere ai ricercatori di monitorare anche la fase di rimozione dei prodotti di scarto del metabolismo delle cellule.
"Questo sistema non è una coltura cellulare semplice, dove il tessuto viene immerso in un bagno statico di liquido", ha detto l'autore principale dello studio, Anurag Mathur. "Abbiamo progettato questo sistema in modo che sia dinamico, che si replichi come il tessuto del nostro corpo esposto a sostanze nutrienti e farmaci". Entro 24 ore dall'ingresso nel chip, le cellule del cuore hanno iniziato a battere da sole, con un ritmo fisiologico normale (55-80 battiti al minuto). Gli scienziati hanno messo il sistema alla prova, monitorando la reazione delle cellule del cuore a quattro noti farmaci cardiovascolari: isoproterenolo, E-4031, verapamil e metoprololo. E hanno usato i cambiamenti nella frequenza delle pulsazioni del cuore per valutare la risposta ai composti. Ad esempio, dopo mezz'ora di esposizione all'isoproterenolo, un farmaco usato per trattare la bradicardia, il ritmo del tessuto cardiaco è aumentato da 55 a 124 battiti al minuto.
Dunque per il team il cuore-su-chip potrebbe essere adattato a un modello di malattie genetiche umane o per lo screening di eventuali reazioni ai farmaci. Non solo. "Collegare il cuore a tessuto del fegato consentirebbe di determinare se un farmaco che funziona inizialmente bene sul muscolo cardiaco potrebbe poi essere metabolizzato dal fegato" senza problemi, conclude Healy.