Il mondo ha sempre più fame. Conflitti armati, pandemia da covid e cambiamento climatico hanno influito in modo decisivo a far salire, nel 2020, la percentuale di popolazione denutrita nel mondo, dopo anni nei quali, invece, si erano registrati lenti progressi. Oggi dunque si contano 155 milioni di persone in stato di insicurezza alimentare acuta, 20 milioni in più rispetto al 2019.
I dati del Rapporto Cesvi 2021. Sono questi i dati contenuti nel Rapporto della fondazione Cesvi, Cooperazione e Sviluppo, che lancia l'allarme: secondo l'Indice Globale della Fame 2021, infatti, in 47 Paesi in particolare la fame resta elevata e le possibilità di porre un freno e ridurla, come previsto dall'obiettivo Fame Zero fissato dalle Nazioni Unite entro al 2030, sono scarse.
Il Global Hunger Index (GHI), uno dei principali strumenti per la misurazione della fame nel mondo, curato da Cesvi per l'edizione italiana, ha preso in considerazione 116 Paesi in cui è stato possibile calcolare il punteggio GHI sulla base dell'analisi di quattro indicatori: denutrizione, deperimento infantile, arresto della crescita infantile e mortalità dei bambini sotto i cinque anni. La fame è stata classificata grave in 37 Paesi e quelli con i livelli di fame più alti del mondo (in arancione nella mappa qui sotto) sono nove, tra i quali Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Sud Sudan, Yemen e Siria.


Africa e Asia: le regioni più colpite. Africa subsahariana e Asia meridionale sono le regioni più colpite. La prima registra tassi di denutrizione, arresto della crescita infantile e mortalità infantile più alti al mondo e suscita preoccupazione l'incremento del tasso di denutrizione, che è nel 2021 è aumentato del 19,6%. E proprio l'Africa è l'unica regione del mondo per la quale si prevede un aumento delle persone denutrite da qui al 2030, anno in cui si stima potrebbero essere alla pari con l'Asia. L'alto livello di fame in Asia meridionale, invece, deriva soprattutto dalla malnutrizione infantile.
guerre e fame. Secondo il rapporto Cesvi, i conflitti armati sono la principale causa di questo quadro: hanno un impatto devastante sui sistemi alimentari poiché ne pregiudicano ogni aspetto, dalla produzione al consumo; allo stesso tempo, è proprio l'aumento dell'insicurezza alimentare che può condurre a conflitti violenti. Nel 2020 erano 169 i conflitti attivi e otto dei dieci Paesi con livelli di fame "allarmanti" o "estremamente allarmanti" coincidono con teatri di guerra: dalla Repubblica Democratica del Congo alla Nigeria, dal Sud Sudan alla Siria fino a Yemen e Somalia.
«La lotta alla fame è pericolosamente fuori controllo», afferma Gloria Zavatta, presidente di Fondazione Cesvi: «è urgente spezzare il circolo vizioso con cui fame e conflitto si alimentano l'un l'altro. Senza pace difficilmente potremo eliminare la fame nel mondo. Senza sicurezza alimentare non potrà esserci pace duratura. Allo stesso modo è necessario intervenire sulle conseguenze drammatiche della pandemia e sugli effetti devastanti del cambiamento climatico. Senza perdere di vista le cause profonde, a cominciare dalla povertà, dalle disuguaglianze e dai sistemi alimentari insostenibili.»
PANDEMIA DA COVID-19. Non solo le guerre ma anche la pandemia e la crisi economica mondiale hanno peggiorato una situazione già grave: secondo la FAO, per effetto della covid, nel 2030 le persone denutrite aumenteranno: saranno 657 milioni, circa 30 milioni in più. E già oggi appare evidente come la crisi economica derivata dalla pandemia abbia pregiudicato la sicurezza alimentare: infatti, nel 2020, il numero di persone che soffrono la fame è aumentato di quasi 20 milioni rispetto al 2019.


«I progressi verso l'obiettivo Fame Zero non solo stanno rallentando, ma la lotta contro la fame sta vivendo una battuta d'arresto», aggiunge Valeria Emmi, Advocacy Senior Specialist di Fondazione Cesvi. «Secondo l'OMS, entro il 2030 solo il 25% dei Paesi sembra in grado di dimezzare il numero di bambini affetti da arresto della crescita e solo il 28% di far scendere il deperimento infantile al di sotto del 3% e mantenerlo a questo livello. Le proiezioni delle Nazioni Unite d'altro canto ci dicono che ben 53 Paesi devono accelerare oggi i progressi se vogliono portare i tassi di mortalità infantile al di sotto del 2,5. E in questo scenario la crisi pandemica non fa che aggravare la situazione. La precarietà dei sistemi alimentari e il conseguente aumento delle persone in situazione di grave insicurezza alimentare richiedono quindi azioni urgenti e consistenti. Tra queste, è necessario un cambiamento radicale dei nostri sistemi alimentari.»


Cambiamento cliamtico. La trasformazione dei sistemi alimentari è dunque necessaria per contrastare gli effetti dei conflitti e dei cambiamenti climatici e simultaneamente garantire la sicurezza alimentare e nutrizionale. «L'acuirsi dei conflitti è uno dei fattori scatenanti che determinano la fame e l'insicurezza alimentare. Conflitti e fame si rafforzano a vicenda, dobbiamo affrontarli insieme per porre fine a questo circolo vizioso, attraverso interventi umanitari e progetti di sviluppo ben coordinati e complementari. Gli interventi che aumentano la resilienza e l'inclusività dei mezzi di sussistenza basati sull'agricoltura e supportano la sicurezza alimentare, hanno un ruolo importante nella promozione della pace, poiché affrontano non solo i sintomi ma anche le cause profonde del conflitto», aggiunge Maurizio Martina, già ministro per le Politiche agricole e attuale vice direttore generale della FAO.
Ma, conclude il rapporto Cesvi, invertire la rotta si può. Anche in un ambiente globale ostile è possibile rompere i legami tra conflitto e fame, e sfruttare a pieno il potenziale dei sistemi alimentari per far progredire la pace. Allo stesso tempo, è indispensabile affrontare i conflitti a livello politico e implementare il diritto umanitario internazionale sanzionando chi vìola il diritto umano al cibo, per esempio ricorrendo alla fame come arma di guerra o inibendo l'accesso degli aiuti umanitari.