Un ragazzo di 24 anni, semiparalizzato a causa di un incidente che gli ha danneggiato il midollo spinale, è riuscito a riacquistare in parte i movimenti del braccio e della mano grazie a un dispositivo elettronico.
Il dispositivo si chiama NeuroLife e funziona per ora soltanto in ambito sperimentale; Ian Burkhart, il giovane che per primo lo ha testato, non può insomma portarlo a casa e continuare a usarlo al di fuori del laboratorio. Ma, anche se solo per un breve periodo, ha potuto nuovamente versarsi da bere, mescolare un liquido con un cucchiaino, usare una carta di credito e svolgere altri compiti, dopo sei anni che non riusciva più a farlo.
Dal cervello al braccio. Lo studio di cui è stato protagonista esce questa settimana su Nature e ha coinvolto una dozzina di scienziati, coordinati da Ali Rezai, dell'Università statale dell'Ohio, negli Usa. Si basa sul principio secondo cui una macchina può svolgere la stessa funzione del midollo spinale: ovvero trasmettere al corpo gli impulsi del cervello. Per farlo, però, deve saper leggere l'attività cerebrale e tradurla in correnti elettriche che fanno muovere i muscoli di conseguenza.
NeuroLife fa proprio questo: un elettrodo, posizionato chirurgicamente nella corteccia motoria di Ian (la zona che controlla i movimenti) percepisce i segnali nervosi e li comunica a un computer, su cui è installato un programma capace di interpretarli.
Il computer è collegato tramite cavi a una sorta di manicotto flessibile, su cui sono posizionati 130 stimolatori elettrici, che attivano i muscoli e permettono all'avambraccio e alla mano di eseguire i comandi del cervello.


interfaccia hi-tech. Semplice concettualmente, lo studio ha richiesto diversi anni e si è basato molto anche su ricerche precedenti. Queste, per esempio, avevano dimostrato che l'attività elettrica cerebrale può essere letta e interpretata tramite interfacce cervello-computer e programmi informatici appositamente creati. Per farlo, però, bisogna prima capire quali sono esattamente le zone del cervello che comandano i muscoli che si vogliono attivare. E poiché queste non sono uguali per tutti, ma variano seppur di poco da persona a persona, Ian si è inizialmente sottoposto a una risonanza magnetica funzionale, che ha avuto proprio il compito di stabilire quali zone del cervello muovevano il suo avambraccio e le dita. L'elettrodo che legge i segnali cerebrali è stato quindi posizionato proprio in corrispondenza di queste aree.
La messa a punto della manica con i 130 elettrodi che fanno muovere nuovamente l'arto semiparalizzato è invece una novità di questo studio: in passato, infatti, gli impulsi interpretati dal computer erano inviati a braccia robotiche, ma mai nessun paziente aveva riacquistato la capacità di usare i suoi muscoli.
Come funziona il sistema (0:27)
I precedenti. In contesti sperimentali, infatti, le interfacce cervello-computer sono state usate fino a oggi quasi esclusivamente per attivare braccia robotiche separate dal corpo, oppure per compiere alcune operazioni su computer. Dopo una lunga serie di test condotti su topi e scimmie, a partire dagli anni Duemila i ricercatori hanno iniziato a testare questi dispositivi su persone che avevano perso l'uso delle braccia.

Così, nel 2006 Nature pubblicava il caso di Matt Nagle, un ragazzo paralizzato dal collo in giù, che grazie a un chip dotato di 96 microelettrodi sottili come un capello, impiantato nella corteccia motoria, aveva potuto afferrare degli oggetti con una mano meccanica, compiere alcune semplici operazioni al computer (come far muovere un cursore sullo schermo, cliccare in corrispondenza di punti prestabiliti, controllare le e-mail), accendere e spegnere la tv, cambiare canale e regolare il volume.
Qualche anno più tardi è stata la volta di Cathy Hutchinson una donna di 58 anni, paralizzata a causa di un ictus, che grazie a un chip simile a quello usato per Nagle si fece servire del caffè da un braccio meccanico, bevendolo con una cannuccia.
Nel 2013, infine, Jan Scheuermann, una signora tetraplegica 52enne è riuscita a muovere col pensiero un arto robotico che lei stessa ha battezzato Hector, progettato all'Università di Pittsburgh.