Salute

Questa zanzara trasmette la malaria? Te lo dice una app

Due diversi progetti permettono di usare gli smartphone per "ascoltare" e identificare il ronzio degli insetti: così si risale alla specie e si sa subito se è vettore di infezioni.

In alcune aree della Terra basta una puntura di zanzara per trasmettere malaria, virus Zika, febbre dengue e altre gravi infezioni. Ma come si fa a capire in anticipo se un insetto è pericoloso? Usando la vista è praticamente impossibile: solo 40 tra le 3.500 specie di zanzare conosciute trasmettono malattie all'uomo, e molte di esse sono praticamente indistinguibili. In una cosa, però, ogni specie è unica: il ronzio.

Questo rumore dovuto al battito d'ali (da 300 a 600 volte al secondo) è usato come richiamo amoroso e segnale di riconoscimento tra membri della stessa specie - anche tra le zanzare anofeli, vettori della malaria. Captato dai sensibili microfoni di uno smartphone, potrebbe prevenire punture pericolose.

Alza la voce! I ricercatori dell'Università di Oxford hanno creato una app per Android chiamata MozzWear (attualmente in fase di test), in grado di registrare il ronzio di una zanzara che si trovi almeno a 10 cm di distanza. Algoritmi di apprendimento automatico lo confrontano agli altri richiami in un database: l'abbinamento tra ronzio e specie è corretto in un intervallo che va dal 68 al 92% dei casi.

Gli scienziati di Stanford hanno ideato un sistema simile chiamato Abuzz, che permette di caricare su un sito le registrazioni del ronzio per l'identificazione. L'idea è di farlo funzionare anche via sms: inviandolo a una segreteria telefonica si riceverebbe un messaggio con il nome della specie. Attualmente il programma ne riconosce una ventina, con un'accuratezza del 70-90%.

Alto potenziale. Servizi come questi potrebbero servire alle comunità locali a decidere se e quando attuare disinfestazioni mirate e altre misure preventive; ma anche a mappare la diffusione di effetti vettori, o accorgersi della presenza di nuove specie di zanzare in un territorio. Prima occorrerà verificare che le app funzionino anche in ambienti normali, inquinati da rumori di fondo, e non solo nei silenziosi spazi dei laboratori.

26 novembre 2017 Elisabetta Intini
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