Un sonno di cattiva qualità sembrerebbe favorire l'accumulo di placche di proteina beta-amiloide sui neuroni dei soggetti predisposti alla malattia di Alzheimer: una ricerca condotta per ora soltanto sui topi rafforza la convinzione che un corretto riposo notturno sia una condizione necessaria per la salute del cervello.
notti movimentate. Un gruppo di scienziati del Centro di Medicina del sonno dell'ospedale Molinette della Città della Salute di Torino e del Neuroscience Institute of Cavalieri Ottolenghi (NICO), entrambi afferenti al Dipartimento di Neuroscienze "Rita Levi Montalcini" dell'Università di Torino, ha dimostrato che un sonno disturbato fa aumentare i depositi di proteina amiloide in topi geneticamente predisposti per sviluppare questo tipo di accumuli nel cervello. Come si legge nella ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Acta Neuropathologica Communications, l'effetto di un sonno frammentato è stato ottenuto introducendo brevi risvegli nella routine di riposo dei roditori, senza però variarne la durata totale.
Meno pulizie. Dopo circa un mese, corrispondente a tre anni di vita se "trasferito" sui tempi dell'esistenza umana, i depositi cerebrali di beta-amiloide risultavano aumentati e le funzioni cognitive degli animali compromesse, anche nel caso di roditori giovani. Il tassello intermedio e cruciale, per spiegare questa degenerazione, è il cattivo funzionamento del sistema glinfatico, il meccanismo di "smaltimento rifiuti" del cervello incaricato di rimuovere le sostanze potenzialmente tossiche (come appunto gli accumuli proteici) attraverso il flusso del liquido cerebrospinale. Il sistema glinfatico è particolarmente attivo durante il sonno profondo, difficile da mantenere integro se il sonno notturno è frammentato.
Che cosa viene prima? Il legame a doppio senso tra sonno e malattia di Alzheimer è noto da tempo ed è soltanto uno dei molti fattori sui quali si indaga per comprendere meglio le cause della demenza. Da un lato, il sonno disturbato sembra essere uno dei sintomi precoci della malattia, perché i processi neurodegenerativi possono compromettere la regolazione dei ritmi classici del riposo. Dall'altro - come sembra emergere dallo studio, che andrà confermato sull'uomo - una cattiva qualità del sonno può peggiorare gli accumuli di proteine neurotossiche anche in soggetti giovani (se predisposti) accelerando lo sviluppo della malattia. Una sorta di circolo vizioso dove a contare non sono solo le ore effettive di sonno ma anche la sua continuità, indispensabile per garantire che nel cervello vengano fatte "le pulizie".
Pertanto una maggiore attenzione ai più comuni disturbi del sonno, fenomeni come le apnee notturne, le insonnie o la sindrome delle gambe senza riposo, che favoriscono la frammentazione del riposo, è importante anche in un'ottica di prevenzione delle malattie neurodegenerative.