Milano, 20 nov. (AdnKronos Salute) - Basta parlare di "raptus". Basta utilizzare il termine "malattia mentale" per provare a spiegare abusi, aggressioni e gesti efferati. Mentre i dati dell'ultimo rapporto Eures rilanciano l'allarme sull'emergenza femminicidi in Italia, i vertici della Società italiana di psichiatria impegnati a Rimini nella Conferenza monotematica Sip 'Mens sana in corpore sano: il benessere come standard di cura in psichiatria' invitano a non fornire "alibi" alla violenza. "Non tutti i violenti sono dei malati - avvertono il presidente degli psichiatri Emilio Sacchetti, e il past president Claudio Mencacci - Purtroppo ci sono anche persone cattive non malate, che perseguono con convinzione il male e sono felici di metterlo in atto".
"La nostra società - analizza Mencacci, direttore del Dipartimento di neuroscienze dell'ospedale Fatebenefratelli di Milano - ha praticamente 'censurato' i concetti di finitezza e morte da un lato, e di crudeltà e male dall'altro. E così, ogni volta che ci si trova davanti a un'azione che suscita ribrezzo si chiama in causa un disturbo psichiatrico, un disagio interiore o una patologia che spinge l'aguzzino alla violenza". Per i due psichiatri "questo è profondamente sbagliato e il mondo dell'informazione dovrebbe aiutare la comunità scientifica a diffondere un messaggio corretto", evitando di 'diagnosticare' psicosi ogni volta che viene scritta una nuova pagina di cronaca nera.
Non solo esistono cattivi non malati, ma la violenza è una spirale che si autoalimenta: "Ricordiamo - conclude Mencacci - che i figli di donne vittime di violenza sono 6 volte più a rischio di sviluppare a loro volta comportamenti aggressivi. Entra in gioco un meccanismo di 'coping'", una reazione di adattamento che 'anestetizza' l'orrore e lo perpetua.