Sempre più ricerche associano alle droghe psichedeliche assunte in condizioni controllate un effetto antidepressivo, ma il fatto che nel "pacchetto" siano spesso incluse psicosi e allucinazioni - esperienze soggettive e imprevedibili - è un ostacolo alla ricerca e all'utilizzo di queste sostanze come farmaci. E se fosse possibile scindere i benefici dagli effetti collaterali?
I pro senza i contro. Uno studio sui topi pubblicato su Nature Neuroscience suggerisce che si possa sfruttare l'effetto antidepressivo di LSD e psilocina (una molecola chimicamente correlata alla psilocibina estraibile dai funghi allucinogeni) attraverso un meccanismo molecolare del tutto separato da quello responsabile delle allucinazioni - di fatto evitando che gli animali sperimentino il "trip allucinogeno".
Sebbene il lavoro guidato da Rafael Moliner, neuroscienziato dell'Università di Helsinki, sia stato condotto con metodi rigorosi, è bene chiarire da subito che i risultati delle ricerche di base come questa sono spesso lontani dal poter essere trasferiti sull'uomo.
Cambiamo obiettivo. Le sostanze psichedeliche producono allucinazioni legandosi al recettore della serotonina 2A, sul quale si è concentrata finora la maggior parte degli studi, ma interagiscono anche con molti altri recettori. Questa volta Moliner e colleghi si sono focalizzati su un altro "bersaglio", il recettore TrkB. In condizioni normali una proteina, il fattore neurotrofico cerebrale o BDNF, si lega al TrkB innescando una serie di processi cellulari alla base della neuroplasticità, ossia la crescita e la riorganizzazione delle connessioni tra cellule cerebrali.
Anche i comuni farmaci antidepressivi si legano al TrkB, affiancando il BDNF nel suo lavoro e dunque favorendo la neuroplasticità, una capacità che sembra avere un ruolo importante nel combattere la depressione.
Una corsia separata. Nel nuovo studio si è dimostrato che anche LSD e psilocina possono agire sulla stessa "serratura cellulare". In laboratorio si sono infatti legate al recettore TrkB in un modo 1.000 volte più potente dei comuni antidepressivi, e hanno spinto i neuroni di ratto e di topo a sviluppare un numero aumentato di connessioni neurali: sembrano quindi favorire la neuroplasticità e avere, sui topi, un effetto antidepressivo del tutto scollegato dal recettore della serotonina 2A.
Niente depressione, né allucinazioni. Per dimostrare che sia in effetti così i ricercatori hanno somministrato ad alcuni topi LSD insieme a un composto che blocca il recettore della serotonina 2A. I roditori hanno mostrato un miglioramento nel comportamento di immobilismo che viene considerato un analogo della depressione umana in questi animali, senza però avere allucinazioni: di solito i topi sotto allucinogeni agitano il capo come se stessero scacciando una mosca, e stavolta non è avvenuto.
Verso nuovi antidepressivi? La speranza è che ricerche come questa possano aiutare a sviluppare una nuova classe di farmaci che prenda di mira esclusivamente il recettore TrkB: dunque antidepressivi che risparmino al paziente l'esperienza, anche molto spaventosa, delle allucinazioni. Si tratta però di un percorso accidentato, lungo e con molti interrogativi aperti.
Tanto per cominciare, moltissimi studi su potenziali farmaci antidepressivi che funzionano bene sui topi finiscono in un nulla di fatto quando si passa all'uomo, motivo per il quale non ci si è ancora distaccati dagli antidepressivi tradizionali, non privi di effetti collaterali importanti. Occorrerà inoltre chiarire se l'esperienza allucinogena non sia invece necessaria per ottenere l'effetto terapeutico delle sostanze psichedeliche. Infine, bisogna considerare che gli studi su queste droghe hanno un problema metodologico di fondo: essendo l'esperienza psichedelica così peculiare, non è possibile non dire al paziente se abbia assunto il farmaco o un placebo, il che finisce inevitabilmente per condizionare l'esperienza riferita.