E se per proteggerci dal virus SARS-CoV-2, che causa la CoViD-19, utilizzassimo il sangue dei pazienti guariti? Non è certo un metodo rivoluzionario (risale alla fine del XIX secolo e venne largamente impiegato all'inizio del XX contro le epidemie di morbillo, influenza e poliomielite), ma potrebbe essere utile, almeno per proteggere i soggetti più a rischio e rallentare il contagio.
È quanto sostengono i ricercatori della John Hopkins School of Public Health in uno studio pubblicato sul Journal of Clinical Investigation: utilizzare l'immunizzazione passiva, ovvero immunizzare un paziente sano iniettandogli gli anticorpi contenuti nel siero sanguigno di un paziente guarito, potrebbe consentire di rallentare momentaneamente i contagi da CoViD-19.
Come si fa. Per far sì che il trattamento funzioni, è necessario che i pazienti donino il sangue subito dopo essere guariti dalla CoViD-19. Solo durante questa fase, infatti, il siero sanguigno contiene grandi concentrazioni di anticorpi naturali, prodotti per combattere il SARS-CoV-2. Una volta estratti ed elaborati, questi possono essere trasferiti in un paziente sano, garantendogli così una copertura immunitaria a breve termine. «In base alla composizione e alla quantità di anticorpi, la protezione può durare da poche settimane a diversi mesi», spiegano i ricercatori. Una valida soluzione specialmente per i pazienti più a rischio, come ad esempio i familiari ancora sani di un soggetto infetto, o chi lavora negli ospedali curando pazienti malati.
Soluzione rapida e rischi minimi. «Oltre ai protocolli di contenimento e mitigazione, si tratterebbe dell'unica opzione disponibile a breve termine per combattere la CoViD-19», è il commento di Arturo Casadevall, preside del dipartimento di microbiologia molecolare dlla John Hopkins. I rischi di venire contagiati da altri patogeni presenti nel sangue del paziente guarito sono oggi ridotti al minimo, grazie alle moderne tecniche utilizzate nelle banche del sangue, che permettono di individuare immediatamente la presenta di eventuali agenti infettivi. Si tratta comunque di una risposta di emergenza (alla quale si è già ricorsi in precedenza con altri coronavirus, come SARS e MERS), in alcun modo sostitutiva di un valido vaccino (che si spera arrivi il prima possibile).