Salute

CoViD-19: l'OMS ha dichiarato la pandemia

L'annuncio di oggi (11 marzo) dell'OMS e i motivi per cui finora l'OMS si era mostrata così riluttante a dichiarare la pandemia.

Aggiornamento dell'11 marzo 2020: come purtroppo ci si poteva aspettare, l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato quella da COVID-19 una pandemia. «Nelle ultime due settimane - scrive l'OMS - il numero di casi di COVID-19 fuori dalla Cina è aumentato di 13 volte, e il numero di nazioni interessate è triplicato. Oggi ci sono oltre 118.000 casi in 114 Paesi, e 4.291 persone hanno perso la vita. Diverse migliaia in più stanno combattendo per la propria vita negli ospedali. Nei prossimi giorni e nelle prossime settimane, ci aspettiamo di vedere il numero di casi, di morti e di nazioni interessate aumentare ulteriormente.

L'OMS ha valutato questa epidemia in modo puntuale e siamo molto preoccupati sia per i livelli allarmanti di diffusione e gravità, sia per i livelli allarmanti di inattività. Pandemia non è una parola da usare a cuor leggero o incautamente: se usata a sproposito può causare paura irragionevole, o accettazione ingiustificata di una battaglia persa, portando a sofferenze e morti non necessarie. Descrivere la situazione come pandemica non cambia la valutazione dell'OMS del pericolo posto da questo coronavirus. Non cambia quello che stiamo facendo e quello che i Paesi dovrebbero fare.

Non abbiamo mai visto una pandemia da coronavirus prima d'ora, ma neanche una pandemia che può essere controllata allo stesso tempo». Tutte le nazioni, ha proseguito Tedros Adhanom Ghebreyesus, Direttore Generale dell'OMS, devono individuare, testare, isolare e tracciare i casi positivi per impedire una diffusione comunitaria del coronavirus. «Siamo grati per le misure adottate in Iran, Italia e Corea del Sud per rallentare il virus e controllare le loro epidemie da COVID-19. Sappiamo che queste misure stanno costando molto alla società e all'economia, così come sono costate alla Cina.»

Stiamo dunque per assistere e vivere un'esperienza complessa, problematica, del tutto nuova per tutti noi: qui sotto, la notizia pubblicata il 2 marzo scorso, per spiegare le resistenze dell'OMS a dichiarare la pandemia.

 

 

Se da un lato l'OMS mette in guardia sul fatto che l'epidemia di CoViD-19 potrebbe trasformarsi in pandemia, dall'altro i Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie statunitensi (CDC), sostengono che il nuovo coronavirus soddisfa già due dei tre criteri utilizzati per definire una pandemia: 1) si è diffuso tra persone, 2) ha provocato morti. Sul terzo criterio, ovvero che il virus si diffonda a livello globale, si potrebbe dibattere, ma con - al momento in cui scriviamo - 50 nazioni colpite in tutti i continenti (eccetto l'Antartide), siamo sicuri non si possa ancora parlare di diffusione globale?

Tre timori. Secondo i rappresentanti dell'OMS, il virus «non si è ancora diffuso in modo così incontenibile da raggiungere la soglia della pandemia, e non ha ancora causato malattie gravi e decessi su larga scala». È però possibile che dietro all'esitazione dell'OMS ci siano almeno altri tre motivi: innanzi tutto il desiderio di evitare che gli Stati seguano il protocollo previsto in caso di pandemia, che potrebbe non essere adatto a questa specifica situazione; in secondo luogo il timore di diffondere panico tra le popolazioni; terzo, il tentativo di non ricadere nell'errore per il quale venne aspramente criticata nel 2009, quando dichiarò la pandemia di influenza A/H1N1, provvedimento da molti ritenuto non necessario.

Contenere o mitigare. Esistono due modi per rispondere a una minaccia di pandemia: adottare misure di contenimento, isolando gli infetti a mano a mano che vengono individuati e mettendo in quarantena chi ha avuto contatti con loro (come si fece con la SARS e con l'epidemia di Ebola del 2014-2016); oppure mitigare la diffusione attraverso la chiusura di scuole, fiere eccetera (come sta accadendo in alcune regioni d'Italia).

L'importanza di poter scegliere. I piani nazionali contro una pandemia, pensati principalmente per rispondere a pandemie influenzali, prevedono il ricorso diretto a misure di mitigazione, non di contenimento. Ed è proprio questo che l'OMS teme, perché, al contrario, per gli esperti dell'Organizzazione mondiale della Sanità adesso è il momento di concentrarsi su misure di contenimento.

Soprattutto, è necessario, come ha fatto la Cina, adottare misure diverse in base alla situazione: nella provincia di Hubei, culla del virus, è stato utilizzato un metodo di mitigazione totale, isolando la città di Wuhan; nelle altre province della Cina si è cercato di contenere il virus, isolando i casi e tracciando i contagi, e in alcuni luoghi sospendendo convegni e chiudendo scuole. Insomma, la parola chiave sarebbe personalizzare l'approccio, adattandosi alle circostanze locali. Cosa che i protocolli anti-pandemia influenzale non prevedono.

Opinioni. Curiosamente (e sorprendentemente) un altro fattore rende la dichiarazione di pandemia ancora non "obbligatoria": il fatto che non esista una definizione univoca di pandemia. L'OMS, ad esempio, definisce una pandemia come la "diffusione a livello globale di una nuova malattia": una spiegazione forse volutamente vaga, che permetterebbe all'organizzazione di gestire le diverse situazioni nel modo più opportuno.

Tuttavia questo crea confusione, soprattutto perché - nella circostanza attuale - molti esperti hanno iniziato a riferirsi alla CoViD-19 chiamandola "pandemia".

Secondo Lauren Sauer, direttrice delle operazioni al John Hopkins Office of Critical Event Preparedness and Response (CEPAR), saremmo già nel mezzo di una pandemia: «Utilizzando questo termine riconosciamo che la diffusione della malattia non si può più impedire», spiega, «non serve più cercare di contenerla: ora è il momento di adottare strategie di mitigazione».

11 marzo 2020 Chiara Guzzonato
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