Salute

Perché i più alti non sono anche i più longevi?

I mammiferi più grandi vivono in genere più a lungo di quelli di piccola taglia. Ma per gli individui più "alti" sembra valere la regola opposta.

Un elefante vive in media dai 40 ai 75 anni, le balene possono arrivare a 110 anni, mentre un topo raramente supera i 12 mesi: i grandi mammiferi, è noto, sono più longevi di quelli piccoli. All'interno delle singole specie, però, la maggiore dimensione non è un vantaggio, al contrario: in questo caso il metabolismo cambia alcune delle regole del gioco, perché l'energia necessaria per mantenere (ossia alimentare di energia) un grammo di tessuto è sempre sostanzialmente la stessa, sia tra le specie sia - all'interno di una stessa specie - per tutti gli individui, grandi e piccoli.

Punto di disequilibrio. Questo spiega anche perché, tra gli umani, gli uomini e le donne più alti corrono rischi maggiori di morte prematura, come dimostra anche la letteratura scientifica. Robert Wadlow, l'uomo più alto del mondo secondo il Guinness World Record (2,72 m) morì a 22 anni, e delle 10 persone più alte di sempre la più "longeva" è arrivata a 56 anni. Le donne più alte sono più inclini a sviluppare forme di cancro negli anni successivi alla menopausa, e la statura notevole è spesso legata a problemi cardiovascolari, ictus e infarti.

Altezza e longevità sono correlate negativamente per almeno due ragioni, forse connesse tra loro. La prima è di carattere ambientale.

Poche calorie. Un filone di ricerca attuale studia come un certo tipo di restrizione calorica può essere correlata con una maggiore longevità in topi, vermi, cani, scimmie e persino nell'uomo. Gli animali e i bambini che mangiano meno tendono a diventare meno alti dei coetanei: l'altezza media della popolazione è quindi un indicatore piuttosto affidabile della disponibilità di calorie in fase di sviluppo (difficile insomma che uno spilungone da record abbia seguito un regime di restrizione calorica).

Scritto nel Dna. Il secondo motivo è genetico. Alcuni geni legati all'altezza familiare (come il FOXO3) sono soggetti a variazioni che codificano per la longevità in alcuni animali, incluso l'uomo.

Questi geni contribuiscono all'attivazione di cellule staminali, controllano i meccanismi di morte cellulare, regolano l'efficacia di insulina e fattori di crescita. Tutti meccanismi che determinano quanto un corpo può crescere e quanta energia gli serve per farlo. Tra longevità, altezza e fabbisogno calorico c'è quindi anche un legame genetico, e variazioni a carico di questi geni potrebbero essere connesse a una maggiore o minore durata della vita.

3 marzo 2017 Elisabetta Intini
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