Salute

Perché molti vaccini si somministrano in due dosi?

I vaccini anti-covid seguono la prassi consolidata della somministrazione in due momenti successivi: una doppia fatica che offre però vantaggi certi.

I vaccini anti-covid di Pfizer e Moderna si somigliano in molte cose: sono entrambi altamente efficaci, sono i primi ad aver raggiunto (o quasi) l'approvazione per uso di emergenza, si basano entrambi su una tecnologia a mRNA e sono entrambi somministrati in due dosi successive, con la seconda iniezione rispettivamente a tre e a quattro settimane dalla prima. Quest'ultimo aspetto è spesso trascurato, ma la domanda è interessante: perché puntare da subito sulla doppia dose, che comporta maggiori costi, più sfide logistiche e una più complessa organizzazione?

Abituarsi per gradi. Come spiegato su The Verge, i vaccini funzionano perché stimolano l'organismo a difendersi dai virus pericolosi esponendo al sistema immunitario una piccola parte non infettiva del virus, l'antigene, una proteina che lo rende riconoscibile. I vaccini a mRNA contro la CoViD-19 non introducono l'antigene spike direttamente, ma forniscono all'organismo la ricetta per crearlo (per approfondire): il principio è comunque lo stesso. Il sistema immunitario deve imparare a riconoscere questo segnale d'allarme da zero, perché non era mai stato esposto al virus in questione - a maggior ragione al SARS-CoV-2, da poco passato alla nostra specie.

Più dosi in sequenza significano maggiori opportunità di allenamento: l'esposizione extra permette all'organismo di capire come contrastare effettivamente il virus, tanto più che quella stimolata dal vaccino non è un'infezione, perché non c'è nessun patogeno che si sta replicando nell'organismo. Si tratta di imparare a riconoscere il segnale di avvenuto ingresso del virus: un compito più difficile, ma che permetterà di respingere il nuovo coronavirus se lo si dovesse incontrare per davvero.

Una preparazione scrupolosa. I vaccini somministrati in doppia dose mostrano più volte all'organismo gli antigeni virali, e questo permette di produrre sia più anticorpi neutralizzanti sia più cellule della memoria, i linfociti T e B: questi componenti del sistema immunitario, che resistono più a lungo, saranno in prima linea in caso di vera invasione del SARS-CoV-2, perché si ricorderanno dell'antigene che hanno già incontrato col vaccino e permetteranno di schierare difese adeguate. Con la doppia dose aumenta l'efficacia: il vaccino anti-covid di Pfizer e BioNTech raggiunge un'efficacia del 52% già dopo la prima dose, ma è con la seconda che si arriva a una protezione attorno al 95%.

I richiami. Anche le cellule della memoria si riducono nel tempo. Per questo, alcuni vaccini (come quelli contro il tetano, o la pertosse) hanno bisogno di richiami periodici, un modo per rafforzare una risposta che però è già stata stabilita.

Innescare la risposta iniziale è più difficile rispetto a stimolare una risposta che c'era già, ma era solo "sopita". La durata della protezione offerta dai vaccini anti-covid emergerà solo con il tempo: è prevedibile che in futuro dovremo sottoporci a richiami periodici.

Difficoltà doppie. Il sistema del doppio dosaggio comporta comunque alcuni problemi non banali. Servono due volte più aghi e più fialette, il doppio degli sforzi di produzione, approvvigionamento, conservazione e distribuzione. Aumentano i costi, aumentano gli sforzi organizzativi per assentarsi dal lavoro e raggiungere le strutture vaccinali. Nei contesti meno serviti, dove accedere alle vaccinazioni è un'impresa, è inoltre più difficile convincere le persone a presentarsi per una seconda iniezione, e l'immunizzazione viene completata soltanto per metà, senza raggiungere la copertura necessaria. Per questo i vaccini anti-covid di seconda generazione, ancora in fase di test, stanno esplorando anche l'ipotesi di un dosaggio singolo e testando l'efficacia di questa soluzione rispetto a quella, tradizionale, della doppia dose.

10 dicembre 2020 Elisabetta Intini
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