Salute

Per quelli che si perdono anche dietro casa

Esiste un raro disturbo chiamato "disorientamento topografico": chi ne soffre è completamente privo di senso dell'orientamento.

Chi da bambino ha provato il terrore di perdersi, su una spiaggia affollata o in un parcheggio dove tutte le direzioni sembrano uguali, probabilmente lo ricorda per tutta la vita. Ci sono persone per le quali sentirsi smarriti e non trovare la strada è esperienza quotidiana: non si tratta di pazienti affetti dal morbo di Alzheimer, che spesso, come primo tragico sintomo, cominciano a perdersi anche in luoghi familiari, ma di persone normali sotto tutti i punti di vista ma quasi del tutto prive di senso dell’orientamento.

Ricerche da Nobel. Come funziona il nostro senso dell’orientameno e la nostra memoria spaziale è oggi uno degli oggetti di studio più affascinanti delle neuroscienze. Il premio Nobel per la medicina e la fisiologia assegnato una settimana fa è andato quest’anno proprio a scienziati che hanno fatto scoperte fondamentali sulle basi biologioche del senso dell’orientamento: John O’Keefe, dell’University College di Londra, e i due coniugi norvegesi May-Britt e Edvard Moser dell’Università di Trondheim (qui l’articolo di Focus che riporta la notizia).

Alcuni anni fa Giuseppe Iaria, neuroscienziato italiano che all’Università di Calgary (Canada) fa ricerche nello stesso ambito dei premi Nobel, ha identificato quello che ritiene un vero e proprio disturbo, battezzato developmental topographical disorientation, DTD in sigla: chi ne è affetto si smarrisce, letteralmente, tra le mura di casa.

Già dalla fine dell’Ottocento sono noti casi di persone che, colpite da un tumore al cervello o da un ictus o in seguito a un trauma, perdono la capacità di orientarsi nello spazio. Ma non si conoscevano casi di persone sane affette apparentemente senza motivo da una mancanza quasi assoluta di senso dell’orientamento. In uno studio pubblicato nel 2009, Iaria ha descritto il primo caso di paziente con disorientamento topografico: una quarantatreenne, perfettamente sana e intelligente, che fin da quando era bambina era tragicamente e completamente incapace di trovare la strada perfino negli ambienti più familiari. La "paziente 1" ha raccontato di essere così fin da piccola, incapace di riconoscere l’ambiente in cui si trova e terrorizzata di trovarsi senza qualcuno accanto che le possa fare da guida. Crescendo, ha sempre avuto bisogno di qualcuno che la accompagnasse nelle uscite, anche le più brevi e vicine a casa, e che la riportasse indietro da qualunque posto in cui era andata. Con grande sforzo, da adulta, è riuscita a memorizzare il tragitto per andare da casa al lavoro prendendo un autobus, ma ancora oggi qualunque minima variazione dai percorsi abituali significa per lei perdersi.

Se manca la mappa nella testa. Nessun esame ha mai evidenziato anomalie o lesioni nel suo cervello, ma la risonanza magnetica funzionale ha mostrato che, al contrario delle persone normali, il suo ippocampo sembra completamente dormiente quando impegnato in compiti che richiedono senso dell’orientamento. Sembra che sia proprio grazie a questa struttura del cervello che riusciamo a formare una mappa cognitiva dell’ambiente in cui viviamo, vale a dire una rappresentazione mentale sulla quale possiamo interiormente piazzare dei punti di riferimento per muoverci e trovare la strada.

Secondo Iaria, il problema delle persone con disorientamento topografico è che non riescono a costruire questa mappa mentale. La paziente n. 1 è stata la prima il cui caso è stato descritto, ma non è l’unica. Da quando Iaria ha messo in piedi un sito, Getting Lost, in cui parla dell’argomento, altre persone si sono fatte vive sostenendo di soffrire di questo disturbo.

Oltre ad aiutare le persone affette da questa sindrome (sembra per esempio che con un allenamento con videogiochi specifici o un addestramento “sul campo” le persone migliorino), queste ricerche potrebbero spiegare perché alcuni siano più bravi di altri a orientarsi, e quali strategie cognitive usino, oppure aiutare a chiarire da che cosa dipendano le differenze individuali. Che, come è evidente a tutti, esistono. Sembra per esempio che gli uomini siano più bravi a costruire mappe mentali e a capire dove si trovano anche in assenza di punti di riferimento, mentre le donne avrebbero bisogno di un numero maggiore di “segnaposti” per trovare la strada, ma sarebbero migliori degli uomini nel trovare oggetti.

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14 ottobre 2014 Chiara Palmerini
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