Salute

Dieci motivi per cui il passaporto di immunità per la COVID-19 è una pessima idea

Ragioni scientifiche, pratiche, etiche: i motivi per abbandonare l'idea di un passaporto di immunità che certifichi il contatto con la COVID-19.

Tornare a lavorare, a viaggiare, ad avere una vita sociale, a un'unica condizione: aver sviluppato gli anticorpi contro la COVID-19. Non è lo scenario di un nuovo film in stile Contagion, ma la realtà pericolosamente vicina che potrebbe delinearsi, se si diffondesse l'idea di utilizzare un passaporto di immunità come lasciapassare per la fase di convivenza con il coronavirus SARS-CoV-2. Ogni documento che limiti le libertà individuali sulla base di una condizione biologica rischia di trasformarsi in strumento di discriminazione e di creare problemi per la salute pubblica anziché tutele.

Un articolo di commento pubblicato su Nature illustra 10 motivi, di ordine scientifico, etico e pratico per cui affidarsi a un simile patentino sarebbe dannoso, controproducente e lesivo di alcuni diritti fondamentali. Qui di seguito una sintesi di queste ragioni.

1. Non sappiamo abbastanza sull'immunità alla COVID-19. Sempre più studi suggeriscono che tutti i pazienti reduci da COVID-19 sviluppino anticorpi, ma non è chiaro quale sia il livello di risposta immunitaria da raggiungere per essere protetti da una nuova infezione, né quanto duri un'eventuale immunità. Se la protezione da COVID-19 nei guariti fosse simile a quella che l'organismo mette in campo contro i coronavirus di SARS e MERS, potrebbe durare uno o due anni; ma se fosse più vicina a quella sviluppata contro i coronavirus del raffreddore, si sarebbe coperti solo per qualche mese.

2. I test sierologici non sono sempre attendibili. Come abbiamo in altre occasioni ricordato, i test sierologici sono un valido strumento per verificare la diffusione della COVID-19 all'interno di una popolazione, ma sono meno affidabili per la diagnosi individuale di un contatto con l'infezione. Possono peccare di bassa specificità, e quindi misurare anticorpi diversi da quelli sviluppati contro il SARS-CoV-2, con il rischio di falsi positivi; o di bassa sensibilità, ed avere bisogno di alte quantità di anticorpi al SARS-CoV-2 per diagnosticare l'avvenuta infezione (con il rischio di falsi negativi nelle persone con pochi anticorpi).

3. Dovremmo poter testare l'intera popolazione. E farlo come minimo due volte per ogni persona, per monitorare la situazione immunitaria di ciascuno, che con la pandemia ancora in corso potrebbe cambiare in ogni momento. In una situazione in cui anche i lavoratori essenziali e chi è certo di aver avuto la COVID-19 fatica ad ottenere test e tamponi, accertare l'immunità di ciascuno pare un obiettivo poco verosimile.

4. Non è possibile rilanciare l'economia con i soli "guariti". Secondo l'OMS, solo il 2-3% della popolazione mondiale avrebbe contratto la COVID-19; anche nei luoghi più colpiti dalla pandemia, le percentuali di persone che hanno sviluppato anticorpi contro il SARS-CoV-2 oscillano tra il 14% e il 30%.

La maggior parte della popolazione rimane vulnerabile all'infezione da nuovo coronavirus, e non è pensabile provare a far ripartire le attività economiche mandando a lavorare prima soltanto chi ha già incontrato il virus, come talvolta ipotizzato. Allo stesso tempo un ristorante o un bed and breakfast non potrebbero pensare di stare in piedi accettando soltanto clienti che abbiano contratto la COVID-19 e siano guariti. 

5. Un patentino digitale sarebbe lesivo per la privacy. Per controllare i movimenti e poter essere aggiornato, ma anche per ridurre il rischio di contraffazione, un eventuale passaporto di immunità dovrebbe essere per forza di cose essere digitale. Tuttavia, un documento elettronico di questo tipo esporrebbe ad alti rischi di violazione della privacy, perché rivelerebbe la posizione e la storia di viaggio di ciascuno, i contatti recenti e i negozi visitati. Già ora, in alcune province cinesi, l'accesso ai luoghi pubblici è regolato da QR code che comunicano la storia sanitaria di ciascuno, un sistema di tracciamento che potrebbe sopravvivere alla pandemia e rimanere in uso anche in seguito.

6. La libertà delle minoranze sarebbe a rischio. Le minoranze razziali, sessuali o religiose sarebbero soggette a una maggiore attività di profilazione. Episodi di discriminazione sono già emersi durante la pandemia: la Cina è stata accusata di aver obbligato i residenti di origine africana a sottoporsi a tampone per la COVID-19, mentre in altre parti del mondo, inclusa l'Italia, si sono registrati diversi episodi di intolleranza e diffidenza nei confronti delle persone di origine asiatica. A New York, durante la pandemia i controlli anti assembramento sono stati rivolti più di frequente a persone afroamericane. Un passaporto di immunità potrebbe essere sfruttato come strumento di segregazione e pretesto per monitorare alcuni segmenti di popolazione.

7. l'accesso ai test non sarebbe uguale per tutti. La scarsità di test disponibili o la volontà di alcuni Stati o Regioni di metterli a pagamento creerebbero, come fanno già ora, profonde disuguaglianze nell'accesso a questi strumenti. Potrebbe succedere (è già successo) che una categoria produttiva più ricca e privilegiata abbia la possibilità di ricevere test e tamponi regolarmente, mentre i lavoratori che garantiscono l'arrivo di cibo sulle nostre tavole e che entrano ogni giorno in contatto con centinaia di persone debbano lottare per il diritto a una diagnosi. 

8. si formerebbe Una nuova stratificazione sociale. In assenza di un vaccino gratuito e disponibile per tutti, la diffusione di un passaporto di immunità favorirebbe la suddivisione tra "immunodotati" che hanno già passato lo scoglio COVID e "immunoprivi" che ancora non l'hanno contratto (per semplice fortuna, perché non hanno avuto la possibilità economica di scoprirlo o perché sono stati ligi ai vari lockdown).

Questa suddivisione amplificherebbe i motivi di divisione sociale e anche le tensioni tra i diversi Stati. Già oggi le persone sieropositive subiscono restrizioni nella libertà di spostarsi, vivere e lavorare in Paesi dove sono in vigore leggi che violano le libertà sessuali e i diritti delle minoranze di genere, come Egitto, Qatar, Russia o Singapore.

9. Si aprirebbe la strada a nuove forme di discriminazione. Le piattaforme digitali per l'immunità al SARS-CoV-2 potrebbero un giorno essere sfruttate per registrare altri dati sulla salute individuale, per esempio quelli relativi a certe condizioni genetiche o ai trascorsi di malattie mentali. Datori di lavoro, compagnie assicurative e forze dell'ordine potrebbero accedere a questi dati e usarli a scopo strumentale.

10. Si creerebbero nuovi problemi per la salute pubblica. Pur di riconquistare diritti fondamentali, i vulnerabili alla COVID-19 potrebbero esporsi volontariamente al contagio (alcuni COVID-party sono stati segnalati in vari Stati durante la pandemia). La necessità di guadagnare un passaporto di immunità aumenterebbe il rischio di contraffazione e spingerebbe individui ancora vulnerabili al virus a fingersi sani ed esporsi a situazioni di alto contagio, con prevedibili ricadute sui focolai epidemici.

occorre Unire le forze. Concentrarsi su uno strumento divisivo come il passaporto di immunità distrae dagli sforzi più efficaci di contenimento della pandemia, come investire sulle operazioni di tracciamento dei positivi e sulla ricostruzione delle catene di contagio, e dedicarsi allo sviluppo di un vaccino universale e accessibile a tutti. Se infatti si arrivasse finalmente a un vaccino, ma la sua distribuzione non risultasse equa, i rischi esposti fin qui si presenterebbero comunque.

28 maggio 2020 Elisabetta Intini
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