Un piccolo studio preliminare compiuto dai ricercatori dell'Imperial College London fornisce nuovi indizi sul perché un trattamento usato per lenire i sintomi del Parkinson su pazienti che non trovano giovamento dai farmaci sia somministrato, con buoni risultati, da una ventina d'anni.
La stimolazione cerebrale profonda (deep brain stimulation, DBS) prevede l'inserimento di un elettrodo in un punto preciso del cervello collegato a un generatore di impulsi (un pacemaker) nella regione sottocutanea del torace. I piccoli impulsi elettrici che arrivano al cervello aiutano a ottenere una riduzione temporanea, ma significativa, dei sintomi più evidenti della malattia di Parkinson, come i tremori nei movimenti.
Un numero limitato di pazienti, in fase avanzata della patologia e poco sensibili ai farmaci, finisce per ricevere il trattamento. Ma a fronte di risultati soddisfacenti, il motivo del funzionamento della DBS è rimasto a lungo poco chiaro. Il nuovo studio sembra indicare che la stimolazione cerebrale profonda incrementi e fortifichi le "pile" delle cellule cerebrali, i mitocondri. Questo beneficio riattiverebbe i neuroni danneggiati determinando un miglioramento motorio.
Meno controllo. La malattia di Parkinson, che secondo alcune stime interesserebbe almeno mezzo milione di pazienti in Italia, comporta la progressiva perdita di cellule in un'area del cervello chiamata substantia nigra o sostanza nera, che produce il neurotrasmettitore dopamina, fondamentale per distribuire i "comandi" per il controllo dei movimenti del corpo. Come risultato, chi è colpito dalla malattia avverte tremori, lentezza e incertezza nell'iniziare a muoversi, disfagia (difficoltà a deglutire): sintomi che rendono sempre più complesso gestire le attività di tutti i giorni.
Le cause iniziali della malattia non sono note, ma un recente filone di studi ha evidenziato che i neuroni della sostanza nera dei pazienti hanno meno mitocondri - le strutture che forniscono energia alle cellule e che le tengono in vita.
Mitocondri "dopati". Gli scienziati britannici hanno studiato le cellule cerebrali di tre pazienti con Parkinson deceduti che erano stati trattati con DBS; di quattro che avevano avuto il Parkinson ma non avevano ricevuto il trattamento; e di tre senza Parkinson. Le cellule cerebrali dei pazienti del primo gruppo mostravano un più alto numero di mitocondri, e in dimensioni maggiori, di quelli non trattati: una caratteristica che sembra suggerire una migliore produzione energetica.
Se i risultati fossero confermati su un numero maggiore di pazienti, si potrebbero studiare nuovi trattamenti per prolungare vita e funzioni dei mitocondri, anche a livello farmacologico: si punterebbe così tenere a bada più a lungo i sintomi della malattia, con procedure meno invasive.