Quale pane scegliere? Quello bianco o quello di farina integrale? Toglietevi dall'imbarazzo di dover rispondere: tanto, non fa differenza. O meglio, la fa, ma non per l'impatto che l'uno o l'altro hanno sull'organismo. A contare per davvero, sono le preferenze dei vostri batteri intestinali.
Mangiare per la scienza. I ricercatori del Weizmann Institute of Science (Israele) hanno analizzato le differenze di impatto tra una dieta a base di pane bianco o di pane integrale artigianale su 20 volontari sani. Tutti i partecipanti dello studio consumavano, di norma, il 10% delle calorie introdotte in pane.
Per una settimana, metà di loro ha dovuto consumare un quantitativo maggiore di pane bianco confezionato, pari al 25% delle calorie; l'altra metà dei volontari ha potuto invece mangiare lo stesso quantitativo di pane integrale a lievitazione naturale, appositamente preparato per la ricerca. Dopo due settimane di dieta priva di pane, i ruoli si sono invertiti.
Il risultato non cambia. Nell'arco di questo tempo sono stati misurati diversi parametri della salute dei soggetti, inclusi i livelli di glucosio al risveglio, quelli di minerali essenziali come calcio, ferro e magnesio, del colesterolo, degli enzimi epatici e renali e di diversi marcatori che possono rivelare infiammazioni o danni ai tessuti. Sono stati anche campionati i microbiomi intestinali dei partecipanti prima, durante e dopo lo studio. Sorprendentemente, la media di tutti questi valori non ha rivelato alcuna importante differenza clinica tra gli effetti dei due tipi di pane sulla salute dei volontari.
Batteri intenditori. Poiché però studi precedenti avevano dimostrato come lo stesso identico tipo di dieta possa dare nelle persone risposte glicemiche anche molto diverse, gli scienziati hanno analizzato più nel dettaglio i livelli di glicemia (ossia la quantità di glucosio presente nel sangue dopo l'assunzione dei diversi tipi di carboidrati). Si è visto così che metà dei volontari mostrava una migliore risposta al pane bianco e processato, e l'altra metà a quello integrale, in base alle differenze presenti nel microbioma.
«La scoperta è potenzialmente molto importante», commenta Eran Elinav, tra gli autori dello studio, «perché indirizza a un nuovo paradigma: persone diverse reagiscono in modo differente anche agli stessi cibi». È un passo in avanti nella direzione di diete sempre più personalizzate.