Un virus sconosciuto, simile all'influenza spagnola del secolo scorso, che si propaga in tutto il mondo per via aerea nel giro di 36 ore, seminando il panico e uccidendo 80 milioni di persone... Non è il trailer di un film apocalittico, ma uno scenario possibile, prospettato dal Global Preparedness Monitoring Board (GPMB), una commissione indipendente di quindici esperti internazionali convocata da OMS e Banca Mondiale. Sarebbe una catastrofe anche sul fronte dell'economia: le conseguenze si farebbero sentire anche sul PIL globale, che potrebbe calare anche di 5 punti percentuali, innescando un'altra catena di eventi che porterebbe altre morti, forse a milioni. Insomma, sembra che siamo totalmente impreparati a gestire una pandemia.
Scenario possibile. Aumento del numero di conflitti regionali, migrazione, crisi climatica, urbanizzazione, sistemi sanitari inadeguati: sono tutti fattori che contribuiscono a creare un terreno fertile per la diffusione transnazionale di epidemie (ossia pandemie). Secondo Gro Harlem Brundtland, ex primo ministro della Norvegia e copresidente della GPMB, è inutile farsi prendere dal panico a ogni annuncio di una nuova epidemia per poi dimenticarsi del problema una volta passato: «È il momento di agire», afferma, «bisogna aumentare i fondi delle comunità, a livello nazionale e internazionale, per predisporre misure di difesa sanitaria che permettano di contenere e disinnescare minacce di questo genere». La GPMB riconosce che qualche progresso è stato fatto, con 59 paesi che si sono dotati di un piano nazionale di sicurezza sanitaria, ma - si sottolinea - nessuno di questi è stato totalmente finanziato.
Le ombre dell'Occidente. La recente epidemia di Ebola in Congo è un esempio di come la mancanza di un rapporto di fiducia tra comunità, autorità e operatori delle missioni internazionali possa avere conseguenze gravi: «La fiducia della comunità va conquistata con il tempo, non all'ultimo momento per fare fronte a un'emergenza. Le autorità devono esserci prima, durante e dopo», afferma Elhadj As Sy, segretario generale della Federazione internazionale delle società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa (IFRC). Al contrario, un esempio virtuoso viene dall'Uganda, dove le autorità politiche e sanitarie hanno lavorato insieme per fare fronte all'emergenza Ebola, consolidando la fiducia della popolazione nel loro operato e riducendo così il contagio a qualche caso isolato.
Naturali e non. Il rapporto del GPMB considera diverse tipologie di minacce, come le malattie emergenti e quelle riemergenti (ossia che riappaiono dopo essere state date per vinte).
Molte sono già tristemente note: Ebola, Escherichia coli O104:H4 (che nel 2011 causò un'epidemia in Europa), la malattia di Creutzfeldt-Jakob (CJD), l'encefalopatia spongiforme bovina (il cosiddetto morbo della mucca pazza).
Alle minacce naturali, si aggiungono poi quelle che possono essere scatenate dall'uomo come armi batteriologiche - come l'antrace, un'infezione causata dal batterio Bacillus Anthracis, o altri agenti creati o modificati per essere armi genetiche.
Probabilmente non saremo mai per davvero "pronti" a guardare in faccia senza paura un'epidemia che improvvisamente si trasforma in pandemia viaggiando a cavallo di aerei e navi, souvenir, prodotti tipici, banconote, strette di mano... Tuttavia, la comprensione del problema è già di per sé uno strumento utile per focalizzare la nostra attenzione sulla strada da seguire, che per alcune potenziali minacce deve necessariamente passare dal rafforzamento dell'educazione sanitaria nei Paesi dove la povertà la fa da padrone. Mentre per altre potenziali minacce, meno naturali, occorre invece arrivare alla condivisione di un solido codice etico che aiuti gli scienziati, i governanti e l'industria dei Paesi più sviluppati a scegliere tra che cosa è lecito fare e che cosa no.