Salute

Il paradosso dell'obesità nella lotta al cancro: nutre il tumore ma aiuta l'immunoterapia

L'essere gravemente sovrappeso è tra i principali fattori di rischio per lo sviluppo di tumori, e allo stesso tempo sembra rendere più efficaci alcune terapie che armano il sistema immunitario contro le cellule malate. Ora uno studio fornisce una possibile spiegazione.

Un nuovo, importante studio potrebbe spiegare un paradosso osservato in ambito oncologico: l'obesità, seconda solo al fumo come fattore di rischio per lo sviluppo di tumori, sembra anche aumentare l'efficacia di alcune innovative terapie che "armano" il sistema immunitario contro quegli stessi tumori. La ricerca dell'Università della California Davis è stata pubblicata su Nature Medicine.

Molla e aiuto allo stesso tempo. Scopo dell'immunologo William Murphy e dei colleghi autori del lavoro era spiegare un fatto controintuitivo. L'obesità, che sta raggiungendo proporzioni pandemiche, è tra i più importanti fattori di rischio per molti tipi di tumori, facilita la diffusione delle cellule cancerose, promuove le recidive e peggiora le probabilità di sopravvivenza. Indebolisce il sistema immunitario e, nei trattamenti con alcuni farmaci che sovrastimolano il sistema immunitario per uccidere le cellule tumorali, può favorire effetti collaterali gravi.

Le cose non vanno così per una delle forme più promettenti di immunoterapia, quella a base di inibitori dei checkpoint immunologici (che quest'anno è valsa un Nobel per la Medicina all'americano James P. Allison e al giapponese Tasuku Honjo).

fermi un attimo. Come spiega AIRC, i checkpoint immunologici sono "molecole che, fra le altre cose, inviano segnali intracellulari inibitori che frenano l'attività del sistema immunitario quando, per esempio, i patogeni estranei sono stati eliminati e l'azione distruttiva non è più necessaria". In pratica, si tratta di freni proteici (come la proteina PD-1, sulla superficie dei linfociti T) che tengono a bada questi leucociti "sentinella" e impediscono loro di intervenire quando l'azione sarebbe non solo non necessaria, ma controproducente.

Le cellule cancerose si avvantaggiano di questo freno e lo stimolano per poter proliferare indisturbate. Sbloccare questo freno immunitario con farmaci che blocchino l'attivazione della PD-1 fa tornare i linfociti T "iperattivi" e li scatena contro i tumori.

Come può servire? Soltanto una minoranza di pazienti risponde però a questi trattamenti, e tra questi c'è una presenza sovrabbondante di persone obese. Il team di Murphy ha individuato in laboratorio le possibili basi biologiche del fenomeno. Dopo aver confermato che i tumori proliferano più velocemente nei topi sovrappeso, lo scienziato ha studiato i linfociti T di topi, scimmie e persone obese, e ha notato che questi guardiani erano lenti a proliferare e avevano quasi cessato la produzione di proteine per richiamare altre cellule a dare manforte. Mostravano anche più elevate quantità della proteina-freno PD-1: per le cellule tumorali era dunque più facile bloccarne l'azione e proliferare indisturbate.

Più bersagli utili. Dietro all'eccesso di PD-1 ci sarebbe la leptina, un ormone secreto dalle cellule lipidiche che ha un ruolo anche nel sistema immunitario.

Ma l'eccesso di PD-1 ha anche un effetto opposto e benefico: l'abbondanza della proteina sulla superficie dei linfociti-T ha reso i topi maschi più responsivi agli inibitori di questo freno proteico somministrati per via farmacologica. Gli immunoterapici rilasciano il freno proteico e i linfociti T entrano in azione: nutriti dal glucosio abbondante negli organismi sovrappeso, lavorano in modo più efficace che nei topi normopeso.

Lungi dal voler incoraggiare l'obesità, lo studio mira a sfruttare il meccanismo per migliorare la prognosi di tutti i pazienti. Magari somministrando leptina durante alcune forme di immunoterapia: questa è una possibile strada di ricerca, ma l'equilibrio tra efficacia e rischio di far proliferare i tumori è delicatissimo.

18 novembre 2018 Elisabetta Intini
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