Milano, 28 gen. (AdnKronos Salute) - "Gli adolescenti che si ammalano di tumore sono spesso poco considerati nel panorama ospedaliero. Sono terra di nessuno. Da un lato ci sono i reparti per i bambini, dall'altro quelli per adulti. Ma un teenager non può andare né in uno né nell'altro, necessita di attenzioni specifiche. Negli ospedali vanno create strutture ad hoc". E' il messaggio lanciato oggi a Milano dall'oncologo ed ex ministro della Sanità, Umberto Veronesi, in occasione della presentazione della campagna web #fattivedere (pensata per sensibilizzare i giovani) e degli ultimi sviluppi del progetto 'Gold for kids' della Fondazione Veronesi, nato nel 2014 per sostenere le cure mediche e promuovere l'informazione in tema di tumori infantili e dell'adolescenza.
Tumori per i quali, spiega lo scienziato, "molto spesso non riusciamo a identificare le cause". Ci sono alcune neoplasie, continua, "tipiche dell'adolescenza, anche se i numeri non sono alti, che colpiscono soprattutto strutture in crescita in questa fase della vita. Come le ossa: gli osteosarcomi oggi si riescono a curare meglio, un tempo si vedevano le metastasi polmonari prendere il sopravvento". Un adolescente con tumore ha bisogno di protocolli di cura idonei e di centri dedicati. "E' un'età in cui si vivono variazioni psicologiche difficili da controllare: si abbandona l'egocentrismo infantile per dedicarsi ai rapporti con i coetanei, si è fragili", riflette l'oncologo. Ma negli ospedali c'è un vuoto.
Andrea Ferrari, oncologo pediatra coordinatore del Progetto Giovani all'Istituto nazionale tumori di Milano e fondatore di Siamo (Società italiana adolescenti con malattie oncoematologiche), parla di "terra di mezzo dell'oncologia". Gli adolescenti "in 2 terzi dei casi hanno tumori con caratteristiche simili a quelli pediatrici e in un terzo soffrono di tumori più tipici dell'adulto. Ma sono pazienti a sé". Ogni anno in Italia si ammalano di tumore circa 1.000 ragazzi tra i 15 e i 19 anni (e circa 1.600 bambini fino a 14 anni). "I teenager reagiscono perlopiù con rabbia, ma se vengono coinvolti tirano fuori risorse inattese che possono essere incanalate a beneficio delle terapie".
Le differenze con i bambini "fanno paura", sottolinea l'oncologo. "Differenze per esempio nei tassi di guarigione: per la leucemia linfoblastica acuta l'85% dei bambini guarisce contro il 50% degli adolescenti, per il sarcoma osseo 77% contro 60%". Ma anche differenze nel ritardo con cui si approda a una diagnosi: "L'intervallo di tempo fra il primo sintomo e l'inizio della cura per i bambini è di 40 giorni in media, per gli adolescenti passano 140 giorni", tre volte di più. Dati su cui incidono diversi fattori: "Da un lato la famiglia che si accorge tardi di qualcosa che non va o trascura, e ancora la ritrosia dei teenager a parlare di un eventuale sintomo, a farsi vedere; dall'altro i medici che magari non hanno capito, non hanno trovato un percorso per arrivare alla diagnosi, hanno minimizzato.
Bisogna aumentare la consapevolezza a tutti i livelli", rileva Ferrari.
La proposta, spiega Veronesi, "è creare 'mini-reparti' per gli adolescenti. Ne abbiamo parlato con il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, e ha convenuto che finora non si è pensato adeguatamente agli adolescenti e che servono strutture ad hoc". Oggi in molti ospedali esistono limiti d'età per l'accesso nei reparti di oncologia pediatrica (15-16 anni) e molti ragazzi finiscono nelle oncologie degli adulti, con conseguenze anche sull'esito delle terapie. Su questo tema "è nato un tavolo di lavoro con le principali associazioni mediche italiane che si occupano di questo argomento - annuncia Monica Ramaioli, direttore generale della Fondazione Veronesi - e stiamo coinvolgendo le istituzioni competenti in grado di agire e modificare le politiche sanitarie".
L'obiettivo, continua Ramaioli, "è delineare i criteri ottimali che un ospedale dovrebbe avere per prendere in carico" gli adolescenti, "sia offrendo le cure mediche migliori e più adatte, sia facendosi carico delle specifiche tipiche del teenager, come ad esempio l'assistenza psicologica, la continuità scolastica e la preservazione della fertilità". Persino "la spiritualità deve essere presa in considerazione, o la loro necessità di stanze riservate in cui poter coltivare i rapporti con i loro coetanei, compagni di scuola e fidanzati. La loro normalità deve entrare in ospedale", sottolinea Ferrari. L'idea è quella di procedere a una sorta di "accreditamento scientifico", continua, "vorremmo arrivare a una rete che coinvolga 3-5 centri a Nord e altrettanti al Centro e al Sud".
La Fondazione Veronesi lavora in sinergia con Siamo e con l'Aieop (Associazione italiana di ematologia e oncologia pediatrica) e la sua fondazione Fieop, ma anche con l'Aiom (Associazione italiana di oncologia medica) e i genitori dei bambini malati riuniti nella Fiagop (Federazione italiana associazioni genitori oncoematologia pediatrica onlus). Il progetto Gold for Kids nel 2014 ha raccolto 130 mila euro (hanno donato anche i gondolieri di Venezia) che hanno permesso l'apertura di 4 protocolli di cura che riguardano diverse patologie. I costi per avviarli e gestirli sono in aumento e spesso le strutture ospedaliere da sole non ce la fanno.
Nel 2015 si punta ad attivarne altri, una dozzina, oggi in attesa. Dall'8 al 23 febbraio partirà una raccolta fondi attraverso Sms solidale al 45595. Nello specifico il ricavato verrà destinato a coprire i costi del protocollo EuroNet PHL-C2, uno studio internazionale sul linfoma di Hodgkin di bambini e adolescenti, coordinato dal Cro, Centro regionale oncologico di Aviano (Pordenone), per curare 500 pazienti in 5 anni.