Salute

Nebbia mentale da covid: un nuovo studio

Il disorientamento e la stanchezza cognitiva riferiti dai pazienti con covid sono forse legati all'arrivo nel cervello di cellule del midollo osseo.

Disorientamento, confusione, difficoltà di concentrazione e una certa lentezza cognitiva: sono i sintomi della cosiddetta nebbia mentale, la perdita temporanea di lucidità che sembra colpire alcune delle persone contagiate dalla covid, non importa se con sintomi gravi o meno. Sulle cause di questo disturbo osservato a ogni età, che talvolta si risolve dopo mesi dalla guarigione, si discute da tempo, e ora uno studio che ha osservato da vicino il cervello dei deceduti fornisce una plausibile spiegazione.

La teoria più accreditata vuole che all'origine della nebbia cognitiva da covid ci sia una risposta immunitaria all'attacco del coronavirus e la conseguente infiammazione dei tessuti: finora però le autopsie eseguite sulle vittime dell'infezione non hanno evidenziato segni di infiammazione, né alterazioni riconducibili a un'infezione virale in corso.

Midollo osseo. Per vederci più chiaro i ricercatori della Johns Hopkins University e del Brigham and Women's Hospital di Boston hanno analizzato una porzione della corteccia cerebrale di 15 pazienti morti per CoViD-19 che avevano accusato anche sintomi neurologici. In cinque di questi pazienti, le analisi al microscopio dei capillari corticali, cioè della fitta rete di sottili vasi sanguigni che irrora la corteccia, hanno evidenziato alcuni nuclei cellulari insolitamente grandi. La struttura di questi nuclei, secondo gli scienziati, è compatibile con quella dei megacariociti, grandi cellule del midollo osseo che, frantumandosi, danno origine alle piastrine necessarie per la coagulazione del sangue.

Una scoperta inaspettata. Secondo lo studio pubblicato su JAMA Neurology, quei megacariociti si trovavano nel posto sbagliato. La loro presenza non era infatti mai stata documentata prima d'ora nei capillari corticali, e le autopsie eseguite su due persone che non erano morte di covid non ha mostrato tracce di queste cellule nel cervello. Il fatto di averli trovati solo in 5 pazienti su 15 potrebbe dipendere dalla ridotta porzione di tessuto analizzato di solito negli esami autoptici: nel cervello dei pazienti con covid che lamentano disturbi neurologici, i megacariociti potrebbero essere più diffusi di quanto si pensi. Il campione di pazienti è comunque piuttosto ridotto e queste iniziali ipotesi andranno suffragate da altri studi.

Richiamate dai polmoni. Come sono arrivate quelle cellule al cervello? «Sospettiamo che il SARS-CoV-2 danneggi i tessuti polmonari portando al rilascio di segnali chimici che inducono i megacariociti a viaggiare fin lì dal midollo osseo» spiegano gli autori. «Quando questo accade, queste grandi cellule trovano in qualche modo una strada per passare attraverso i capillari polmonari e arrivare al cervello».

Non è ancora chiaro se le cellule raggiungano la corteccia semplicemente attraverso il flusso sanguigno, in modo passivo, o se invece alterazioni specifiche dei tessuti dovute alla covid permettano ai capillari cerebrali di intrappolarle più facilmente.

4 marzo 2021 Elisabetta Intini
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