Uno studio italiano pubblicato su Nature riscrive la definizione di terapia genica, e promette di rendere la tecnica ancora più sicura e potente. Se infatti questa forma di intervento genetico si era basata finora sull'aggiunta di copie funzionanti di un gene, quando quello originario era difettoso, la ricerca appena pubblicata elimina il difetto alla radice e permette di correggere direttamente il Dna originario.
Il punto sulla terapia genica e sulle ricerche italiane (che contrariamente a quanto si potrebbe pensare sono all'avanguardia) sono sul numero di Focus 260 in edicola fino al 19 giugno 2014 e in digitale per sempre.
Con questo metodo, insomma, dalle cellule bersaglio sparisce il gene malato «un po' come se si riparasse un osso fratturato, anziché fornire semplicemente una stampella» esemplifica Luigi Naldini, direttore dell'Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica (Tiget), dove la tecnica è stata messa a punto.
Enzimi come sarti
L'editing (o correzione) del genoma si basa sull'introduzione nelle cellule da curare di un segmento di Dna terapeutico e di enzimi ottenuti in laboratorio: le nucleasi artificiali. Come gli strumenti di un sarto, questi ultimi tagliano via il pezzo difettoso, consentendo così l'attivazione dei meccanismi di riparazione cellulari, che copiano al suo posto la sequenza del Dna correttivo.
Rispetto alla tecnica tradizionale, i vantaggi sono notevolissimi. Per esempio, poiché l'intervento è molto specifico non c'è il rischio di interferire con il funzionamento di altri geni, eventualità che invece i metodi attuali non permettono di escludere. «Inoltre – prosegue Naldini – l'editing del Dna permette di conservare intatti tutti i meccanismi di regolazione originari, che invece con i sistemi precedenti non potevano essere riprodotti fedelmente».
Ok sui topi
Gli esperimenti sono stati condotti su cellule staminali del sangue, nelle quali è stato corretto il gene della Scid-X1, una grave immunodeficienza congenita. Reinfuse in animali da esperimento, le cellule hanno mostrato di funzionare bene, sebbene solo in una piccola parte delle staminali trattate il Dna sia stato effettivamente corretto.
Un editoriale di commento pubblicato da Nature osserva che per la malattia in questione il tasso di correzione ottenuto è già sufficiente a trattare eventuali pazienti, ma per altre patologie su cui la terapia genica sta lavorando l'efficienza della tecnica andrebbe invece incrementata.
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