Salute

La tecnologia a mRNA, dopo la CoViD-19

Oltre la pandemia: l'mRNA sintetico usato nei vaccini di Pfizer e Moderna potrebbe rivoluzionare la cura di altre malattie, dal cancro alla malaria.

Fino a un anno fa era per tutti o quasi un perfetto sconosciuto, ma da qualche mese, grazie ai vaccini anti-covid di Pfizer e Moderna, l'mRNA è diventato una specie di rockstar della medicina, che promette di traghettarci fuori dalla pandemia e di rivoluzionare il trattamento di molte malattie (aggiornamento 2023: varrà ai suoi ideatori il premio Nobel per la medicina, ndr). Da dove nasce tutto questo successo, e come sarà sfruttato?

Che cos'è l'mRNA. In natura l'mRNA, o RNA messaggero, è il materiale genetico che contiene le istruzioni per la sintesi di nuove proteine. Si occupa di trasportare le informazioni genetiche codificate dal DNA del nucleo della cellula fino al citoplasma cellulare, dove queste istruzioni sono utilizzate per mettere assieme i mattoncini costituenti le proteine, gli amminoacidi. Questo processo serve a costruire, riparare e mantenere le fondamentali funzioni biologiche: il nostro corpo lo sa fare, e lo fa in continuazione.

Il potenziale dei vaccini e dei medicinali a base di mRNA sintetico, prodotto cioè in laboratorio, è legato a un concetto che suona quasi come uno slogan: la medicina è nel messaggio. L'mRNA ordina alle cellule quali proteine produrre: la terapia è - appunto - tutta in quella lista di istruzioni. Si potrebbe teoricamente sfruttare l'mRNA per ordinare alle cellule di produrre in massa molecole per riparare organi danneggiati o migliorare la circolazione sanguigna; per combattere malattie ereditarie o confezionare proteine che nel nostro corpo non dovrebbero esserci (come la proteina spike del nuovo coronavirus!), in modo che contro di esse si organizzi una risposta immunitaria.

La differenza rispetto al passato. Mentre la ricerca farmacologica classica prende di mira con i farmaci proteine già presenti nell'organismo, o prova a introdurne di nuove, con l'mRNA si può provare a risolvere il problema alla radice. Si può cioè intervenire sul controllo delle proteine fabbricate, aggiungendone di nuove o prendendo di mira quelle dannose. Il tutto, con un processo più breve e più facile: i farmaci a RNA non dipendono più dalla complessa ricerca su struttura e ripiegamento delle proteine-bersaglio, ma sono, di fatto, stringhe di codice - sequenze di codice che possono essere modificate al computer e che riconoscono o formano parti di un gene.
 
È quello che è accaduto a gennaio 2020. Quando i ricercatori cinesi diffusero la sequenza genetica del nuovo coronavirus, Moderna e Pfizer/BioNTech furono in grado di creare una loro versione di vaccino nell'arco di pochi giorni (i mesi successivi furono necessari per i test clinici).

La storia dei vaccini a mRNA

Dato che le cellule del corpo umano utilizzano continuamente mRNA per trascrivere le istruzioni genetiche e produrre proteine essenziali, perché non ottenere versioni sintetiche di mRNA che ci aiutino a contrastare malattie? Negli anni '90 la biochimica unghere Katlin Karikò (oggi vicepresidente di BioNTech RNA Pharmaceuticals) iniziò a lavorare a questa possibilità, ma finì per scontrarsi con la mancanza di finanziamenti e con un importante ostacolo scientifico: produrre un mRNA sintetico che non venisse immediatamente rigettato come estraneo, il trattamento che l'organismo riserva a istruzioni genetiche che ritiene scorrette.
 
La svolta dopo anni di studi e tentativi in collaborazione con il collega Drew Weissmann, impegnato a cercare un vaccino contro l'HIV. Nel 2005, i due scoprirono che modificando una "lettera" dell'mRNA (uno dei mattoncini che compongono la sua molecola, i nucleosidi) si inibiva la reazione immunitaria problematica. L'mRNA sfuggiva ai meccanismi di controllo e arrivava alle cellule.
 
La scoperta attirò l'attenzione di Derrick Rossi e Uğur Şahin: guarda caso coloro che di lì a poco avrebbero fondato le società di biotecnologie Moderna e BioNTech (creata da Şahin insieme alla moglie, l'immunologa Özlem Türeci). All'arrivo della pandemia entrambe le case erano da tempo impegnate a lavorare su vaccini a mRNA da impiegare contro il cancro e l'influenza. L'imprevisto nuovo virus ha permesso di convertire l'esperienza acquisita su prodotti di utilità immediata.

Vaccini contro il cancro. La pandemia ha concentrato menti e risorse su questa tecnologia vaccinale, che potrebbe conoscere un'esplosione nei prossimi anni. A partire dalla cura del cancro: le cellule cancerose tendono a mostrare sulla superficie proteine mutate e peculiari di quel tipo di tumore. Confrontando quelle cellule con le altre sane del paziente si potrebbero riconoscere le proteine alterate e confezionare vaccini a mRNA che diano istruzioni per codificare proprio quelle proteine.
 
La vaccinazione attiverebbe il sistema immunitario, diversamente dal cancro che mette in moto meccanismi per nascondersi dalle difese dell'organismo. E sarebbero le cellule immunitarie del paziente ad attivarsi contro le cellule malate. BioNTech sta percorrendo questa strada e ha già diversi trial clinici in corso su vaccini indirizzati contro tumori solidi, come melanoma, cancro al seno o alle ovaie. Moderna sta lavorando a vaccini a mRNA capaci di riconoscere mutazioni in un gene (KRAS) implicato nel 20% dei tumori umani, mentre CureVac, azienda europea di biotecnologie impegnata nei test di un vaccino anti-covid, sta conducendo sperimentazioni per un vaccino contro un tipo di tumore ai polmoni.

Altre applicazioni. Moderna e AstraZeneca sono al lavoro su un vaccino che consegni l'mRNA per una proteina capace di far ricrescere i vasi sanguigni danneggiati dopo un attacco cardiaco. Altri vaccini a mRNA puntano invece a fornire alle cellule le istruzioni per produrre proteine di cui abbiamo bisogno tutti i giorni ma che, a causa di malattie genetiche o degenerative, non produciamo. Anziché riparare i geni difettosi con tecniche come la CRISPR Cas9, potremmo insegnare alle cellule a produrre le proteine per le quali non possiedono il libretto di istruzioni.

Pensare in grande. Una tecnologia simile a quella dei vaccini a mRNA potrebbe rivelarsi promettente contro la malaria. Per debellare l'infezione che uccide 400.000 persone all'anno, la DARPA (l'agenzia della Difesa USA che sviluppa tecnologie per uso militare) e Pfizer stanno pensando a un vaccino che sfrutti l'RNA autoamplificante (self-ampling RNA o saRNA). Il funzionamento è simile, ma il saRNA produce multiple copie di sé nella cellula, come in un ossessivo copia-incolla, prima di spingerla a produrre proteine. Basta quindi una minuscola quantità di vaccino per ottenere una robusta risposta immunitaria: è sufficiente fornire alle cellule l'input iniziale. In questo caso non sarebbe tanto la dose di vaccino ma la vaccinazione in sé, a prevenire l'infezione.
 
Con una piccola quantità poco costosa di prodotto si otterrebbe una copertura disponibile su larga scala, ideale contro una malattia diffusa come la malaria.

E si supererebbe allo stesso tempo uno dei principali ostacoli di questa parassitosi: la capacità di riattivarsi dando origine a recidive.

Tutto risolto, quindi? Abbiamo trovato il Sacro Graal della medicina? Probabilmente no. Con il coronavirus siamo stati, quanto al vaccino, particolarmente fortunati. Secondo i virologi il SARS-CoV-2 è uno dei più semplici bersagli vaccinali di sempre, anche grazie all'esperienza pregressa.
 
Quattro anni fa, dopo l'epidemia di MERS (la sindrome respiratoria mediorientale da coronavirus) nella Penisola Arabica e nella Corea del Sud, 18 scienziati pubblicarono uno studio dettagliato sulla forma e il comportamento della proteina spike, l'arma più affilata dei coronavirus. Quei dati sono stati una base indispensabile per mettere a punto i vaccini che abbiamo. Senza di essi, la tecnologia a mRNA non sarebbe stata sufficiente.

5 aprile 2021 Elisabetta Intini
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