Il preoccupante aumento di casi di morbillo registrato in Italia negli ultimi mesi ha riacceso il dibattito sulle vaccinazioni. Il problema non va certo sottovalutato, ma al di là di alcuni titoli eccessivamente allarmistici, l'argomento è stato trattato soprattutto nell'ottica delle vaccinazioni dei bambini. Il che non è corretto, o quanto meno, non è sufficiente, come testimonia questo contributo che volentieri pubblichiamo.
È stato redatto da 5 esperti (medici, giornalisti e ricercatori) che hanno analizzato accuratamente i dati epidemiologici e ne hanno tratto queste conclusioni.
Come ogni medico sa, e chiunque altro può intuire, se, sulla base di un sintomo, si sbaglia la diagnosi, si rischia di sbagliare anche la terapia, e così perdere il paziente. Il sintomo, in questo caso, è l’ondata di oltre mille e trecento casi di morbillo che si sono verificati inizialmente in quattro Regioni italiane (Piemonte, Lombardia, Lazio e Toscana), ma che nel giro di poche settimane si sono ormai estesi anche alle altre.
La narrazione dominante sui giornali è che a causare il fenomeno siano le basse coperture vaccinali nei bambini sotto i due anni, scese negli ultimi anni per effetto di una crescente ostilità da parte dei genitori.
A questa diagnosi corrisponde la terapia invocata a gran voce da molte parti: far valere l’obbligo di vaccinazione ponendolo come condizione necessaria per accedere ai servizi educativi dell’infanzia (sebbene quest’obbligo, in assenza di un cambiamento della legge a livello nazionale, riguardi solo la vaccinazione contro altre quattro malattie, e non il morbillo. Il suo significato sarebbe quindi simbolico più che pratico).
Ma la situazione attuale, descritta dai dati di cui disponiamo, conferma questa diagnosi? “L’emergenza morbillo”, com’è stata ribattezzata, è un’emergenza della prima infanzia? Non sembra. Oltre tre quarti dei casi finora riguardano giovani e adulti, che non sono mai stati vaccinati o sono stati vaccinati una sola volta, non per ragioni ideologiche dei genitori, ma perché nati e cresciuti prima dell’introduzione capillare della vaccinazione e della conferma che ne servono almeno due dosi.
A nostro avviso, la domanda è questa: “Come mai, se le coperture infantili sono così basse come si dice, si sono finora registrati così pochi casi tra i bambini?”
A questo riguardo, abbiamo letto con interesse i dati forniti da Giulio Gallera, assessore al Welfare della Regione Lombardia, una delle più colpite, e ripresi da Quotidiano Sanità il 3 aprile u.s.: su 86.503 bimbi nati in Lombardia nel corso del 2014, i non vaccinati contro il morbillo entro 24 mesi sono 6.000, ovvero il 6,9%. In altre parole, la copertura a 24 mesi sarebbe del 93,1%, a 1,9% dall’obiettivo del 95%.
La coorte precedente, quella del 2013, a 24 mesi aveva una copertura del 90%, e questo sembra indicare che il calo nella percentuale di bambini vaccinati osservato negli anni precedenti si è arrestato. Potrebbe esserci invece un’inversione di tendenza, come è stato recentemente segnalato anche in Veneto. È, inoltre, documentato che le coperture vaccinali a 36 mesi di età aumentano ancora. Riteniamo quindi possibile che tra i nati del 2014, nei prossimi mesi, la percentuale di vaccinati contro morbillo-parotite-rosolia possa avvicinarsi ulteriormente alla soglia di sicurezza del 95%. Quelli riferiti dall’assessore Gallera non sembrano, pertanto, dati particolarmente allarmanti, nonostante i toni con cui sono stati ripresi da alcuni media.
I dati dovrebbero servire a capire meglio le caratteristiche di questa emergenza, per affrontarla in maniera più efficace. Che non significa ignorare i bambini piccoli, ma concentrare maggiori sforzi sulle altre fasce di età più colpite.
Infine, anche per la vaccinazione esavalente i dati forniti dall’Assessore Gallera possono essere letti con un pizzico di ottimismo: i 5.000 non vaccinati rappresentano il 5,8% della coorte di appartenenza, che equivale a una copertura del 94,2%, in aumento rispetto ai nati nell’anno precedente.
Come emerge dai dati di Lombardia e Veneto, il calo delle coperture a 24 mesi riportato in molte regioni italiane a partire dal 2012 potrebbe essersi arrestato o invertito. Sarebbe perciò essenziale, nel valutare quali interventi intraprendere, basarsi sui dati più aggiornati e considerare anche la percentuale di vaccinati tra i bambini più grandicelli (a partire dalle coperture a 36 mesi di età), dal momento che la copertura reale della popolazione pediatrica non si può dedurre dai dati registrati anno per anno a 24 mesi.
Ma soprattutto occorre integrare la strategia che punta alle coperture infantili con nuove iniziative per rimediare alle scarse coperture nei giovani adulti, soprattutto quelli che operano a contatto con gruppi a rischio, come il personale delle scuole e degli ospedali, comprendendo tutte le figure professionali che lavorano in questi contesti.
Non basta invitare anche gli adulti a verificare la propria immunità contro il morbillo, ma occorre un’offerta attiva che semplifichi e faciliti l’accettazione anche da chi non è ideologicamente contrario, ma semplicemente, da grande, mai penserebbe di essere a rischio per una malattia che continua a essere considerata tipica dell’infanzia.
Amelia Beltramini, giornalista, Pavia
Antonio Clavenna, ricercatore, Dipartimento di Salute Pubblica, Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, Milano
Arturo Di Girolamo, medico specialista in malattie infettive, Pescara
Salvo Fedele, medico pediatra, Palermo
Roberta Villa, medico e giornalista, Milano