Prima che un paio d'anni fa "COVID-19" diventasse la parola più temuta al mondo, "microplastiche" era in lizza per la prima posizione. L'inquinamento da frammenti di plastica di dimensioni inferiori ai 5 mm è una novità di questi anni (in realtà la novità è che si è cominciato a parlarne) e vista l'onnipresenza di questi materiali l'intero mondo della ricerca sta correndo per scoprire il prima possibile quali siano i danni che causano all'ambiente e agli esseri viventi.
Cresce l'allarme. Uno studio in questa direzione arriva dalla Hull York Medical School, in Inghilterra: pubblicato sul Journal of Hazardous Materials, non è rassicurante. In estrema sintesi, i ricercatori affermano che le microplastiche che ingeriamo tutti i giorni possono causare danni irreparabili alle nostre cellule.
Lo studio è stato condotto aggregando i risultati di 25 diversi studi sugli eventuali effetti nocivi che le microplastiche hanno sulle colture cellulari umane (ossia in laboratorio). Ognuno di questi studi indaga sui danni delle microplastiche a differenti concentrazioni. Per la loro analisi, i ricercatori inglesi si sono concentrati in particolare su quelle che sono paragonabili alle concentrazioni che si trovano oggi in natura, e che noi umani assumiamo in molti modi diversi, a partire dal cibo (in particolare pesce e frutti di mare, ma anche il comune sale da tavola) e dalle bevande.
Cosa è emerso. Questo confronto ha rivelato che, alle concentrazioni a cui siamo regolarmente esposti, le microplastiche hanno effetti deleteri anche permanenti sulle cellule umane: possono danneggiarne le pareti, causare reazioni allergiche e anche ucciderle.
La situazione è grave, ma non sappiamo ancora quanto. Gli studi, infatti, dimostrano che le microplastiche, in condizioni di laboratorio, danneggiano le cellule umane; non sappiamo però quanto tempo passino nel nostro organismo prima di venire espulse, e se è sufficiente perché facciano qualche danno oppure no. Un'altra scoperta della ricerca è che le microplastiche di forma irregolare sono molto più deleterie di quelle perfettamente sferiche, che in natura sono anche molto meno presenti. Può sembrare un dettaglio da nulla, ma la maggior parte degli esperimenti che vengono condotti in laboratorio utilizzano microplastiche sferiche, e potrebbero quindi sottostimare l'impatto di quelle che ci troviamo a ingerire.
Che fare? Ora che conosciamo meglio il problema, il prossimo passo sarà provare a mitigarlo, individuando i cibi e le bevande con la più alta concentrazione media di microplastiche, e quindi più pericolosi. Ma secondo Evangelos Danopoulos, primo autore dello studio, la soluzione sul lungo periodo è una sola: eliminare lo spreco di plastica e la sua dispersione nell'ambiente.