Se lo dice il dottore... Il presupposto della maggior parte delle persone che si rivolgono a un medico è che i consigli e i farmaci prescritti, le cure e trattamenti ricevuti siano, se non certezze granitiche, almeno il frutto della migliore evidenza disponibile.
E invece non è detto. Molte pratiche su cui la ricerca scientifica si è già pronunciata dichiarandole inutili o dannose, continuano a essere proposte e praticate.
Una recente analisi elenca quasi quattrocento - 396, per la precisione - casi di veri e propri ribaltoni, se vogliamo chiamarli così: pratiche comuni che non solo non sono raccomandabili, ma sarebbero proprio da evitare perché la ricerca ha già dimostrato che sono inutili, se non addirittura dannose. Alcune di queste procedure sono in realtà già state abbandonate, altre finiscono per esserlo, ma molte altre continuano a venire eseguite per una sorta di inerzia, magari anche in buona fede, da medici convinti di fare il bene dei loro pazienti.
False convinzioni. Per giungere a questa conclusione, gli autori dello studio pubblicato su eLife (una non profit che mette a disposizione degli scienziati un metodo di pubblicazione indipendente), tra cui Vinay Prasad, ricercatore della Oregon Health and Science University che da tempo studia l’argomento, hanno preso in esame gli studi clinici condotti con gli standard considerati maggiormente attendibili nel campo della ricerca medica e pubblicati tra il 2003 e il 2017 su tre tra le più importanti riviste mediche: il Journal of the American Medical Association, The Lancet e il New England Journal of Medicine.
In totale i ricercatori hanno identificato oltre tremila articoli: di questi, 396, circa uno su dieci, equivaleva a un medical reversal, ovvero a un ribaltamento rispetto all’opzione comunemente praticata, che non si è dimostrata migliore e in certi casi perfino peggiore.


La categoria delle malattie cardiovascolari è stata, secondo gli autori, quella in cui si sono verificati più ribaltamenti (il 20 per cento del totale), seguita dalla medicina preventiva e dalle cure in emergenza. Riguardo al tipo di convinzione rovesciata, le più comuni riguardavano farmaci che non si sono rivelati efficaci (il 33 per cento dei casi), seguiti da procedure mediche e consigli su vitamine e supplementi per la salute che non servono allo scopo per cui vengono presi.
Vitamine e altre illusioni. In un articolo pubblicato sul New York Times all'inizio di luglio, la giornalista scientifica Gina Kolata fa una sorta di classifica di trattamenti che negli Stati Uniti vanno per la maggiore e che sono tra maggiormente messi in discussione.
Per esempio i supplementi e le vitamine per la prevenzione di malanni vari. I famosi omega 3 dell’olio di pesce non sembrano fornire alcuna protezione contro le malattie cardiovascolari, e il ginkgo biloba non aiuta a preservare la memoria. Ma anche certi gadget elettronici la cui utilità sembrerebbe suggerita dal buon senso: molti di quei "braccialetti" che tracciano i movimenti di chi li indossa e calcolano le relative calorie bruciate, vengono bocciati dagli studi più attendibili (e pare anche che chi non li usa dimagrisca più di chi li impiega).
Un altro esempio in cui molti si ritroveranno è relativo alla chirurgia per il menisco: in caso di lesioni dovute all’invecchiamento, l’operazione non ha mai dimostrato di portare più benefici in termini di movimento e funzionalità rispetto alla fisioterapia.
Gravidanza e dintorni. Alcuni ribaltoni provengono dall’ostetricia e ginecologia, che fino a non molto tempo fa aveva il primato della “meno scientifica” tra le branche della medicina. Per esempio, se durante l’ultima fase della gravidanza, prima del termine naturale, si rompono le acque, la regola seguita è di procedere immediatamente al parto, per paura di infezioni. In realtà, gli studi che hanno confrontato gruppi di donne monitorate senza fretta con altre fatte partorire velocemente, non hanno trovato differenze in fatto di infezioni per i neonati; per contro, le donne che si sono sottoposte al "parto affrettato" hanno poi avuto bisogno più spesso di ricorrere a cure intensive e di urgenza.


Anche la pediatria è un settore in cui si assiste spesso a cambiamenti di rotta nelle indicazioni. Tra i casi più recenti, il comportamento da tenere per cercare di prevenire l’insorgere di allergie alimentari. Fino a non molto tempo fa, i pediatri consigliavano di evitare ai bambini piccoli, sotto i tre anni, cibi potenzialmente allergizzanti, come le arachidi. Gli studi più recenti non hanno riscontrato un aumento del rischio di allergia tra i bambini che non hanno seguito questa prescrizione. Anzi, la tendenza attuale è quella di introdurre presto, anche prima dell’anno di età, il consumo di questi cibi proprio tra i bambini a più alto rischio, per ridurre la probabilità di problemi futuri.
Altro caso che riguarda invece gli anziani: ai pazienti anziani colpiti da demenza o morbo di Alzheimer vengono spesso prescritti farmaci antidepressivi, ma gli studi non hanno dimostrato che servano a qualcosa. Può darsi che non si tratti di depressione vera e propria, oppure che il disturbo, in questa categoria di pazienti, abbia caratteristiche diverse.
Forza d'inerzia. Evitare farmaci e cure inutili o potenzialmente dannose è ovviamente nell’interesse di medici e pazienti. Ma non è semplice. Secondo uno studio pubblicato su JAMA nel 2007, che ha tra gli autori John Ioannidis, un ricercatore della Stanford University, tra i primi a sollevare il problema della ricerca medica di bassa qualità, servono almeno dieci anni prima che la gran parte della comunità medica smetta di prescrivere pratiche diffuse di cui la scienza ha dimostrato l’inutilità.
Gli autori dello studio, come molti altri condotti da "promotori della medicina basata sulle evidenze", ne fanno anche una questione di risparmio di risorse (pubbliche o meno) e di miglioramento dei sistemi sanitari: le risorse sono tutt'altro che infinite, e quelle disponibili è meglio riservarle a pratiche e interventi che si siano dimostrate efficaci. Almeno fino a prova contraria.