Roma, 11 dic. (AdnKronos Salute) - In Italia ci sono circa 600 pazienti colpiti da un insufficienza d'organo poco conosciuta: l'insufficenza intestinale cronica benigna. Per loro serve "creare una rete di sicurezza nazionale che consenta di riferirsi a centri di super esperti i quali, in collaborazione con i centri periferici, possano garantire loro le cure più appropriate". E' la proposta di Loris Pironi, responsabile del Centro di riferimento nazionale per l'insufficienza intestinale cronica del Policlinico Sant'Orsola di Bologna, a margine dell'incontro '30 anni di nutrizione parenterale domiciliare', organizzato a Roma dalla Baxter.
"Questi pazienti, per poter sopravvivere - ricorda Pironi - hanno bisogno di quello che si chiama l'intestino artificiale, ovvero la nutrizione parenterale domiciliare", una terapia possibile da 30 anni. Ma, lamenta l'esperto, "ancora oggi non esiste una normativa che consenta a questi pazienti di avere un appropriato accesso alle cure in modo omogeneo sul territorio nazionale".
"Il problema - rincara Sergio Felicioni, presidente nazionale dell'associazione di pazienti 'Un filo per la vita' Onlus - sono le grandi differenze sul piano normativo, le differenze di gestione che riguardano anche le diverse Asl della stessa regione. E ci sono regioni che non hanno nulla. Nessuno ha mai chiesto di avere il centro di cura sotto casa, ma serve la necessaria organizzazione per garantire assistenza adeguata a pazienti che, ricordiamolo, non possono vivere senza questa terapia. Il dramma è che le persone con insufficienza intestinale cronica 'non esistono' sulla carta. Per esempio, non c'è un 'numeretto' sulla ricetta per identificarci".
In Italia, a 30 anni dalla prima terapia domiciliare di nutrizione parenterale, sono 12 mila i pazienti che la utilizzano. Oltre a quelli con insufficienza intestinale ci sono soprattutto i malati oncologici, che rappresentano quasi la metà degli utenti. E in generale sono 3 mila i pazienti in cura domiciliare ogni giorno.
Una terapia delicata, che incide fortemente sulla qualità della vita dei malati che necessità di attenzioni particolari. "Nel 1984 - ricorda all'Adnkronos Salute Susan Craig, responsabile del servizio infermieristico di Baxter, che si occupò del primo paziente italiano - andando a casa del primo paziente ho portato, insieme con i materiali di utilizzo, protocolli d'uso. Sono questi la 'base solida' che ha accompagnato per 30 anni il nostro servizio. Sono questi protocolli che hanno permesso ad un paziente di avere un accesso vascolare per tanti anni".
"E' fondamentale per questa terapia. Abbiamo infatti - conclude Craig - un numero di vene limitato a disposizione, che deve essere mantenuto altrimenti il paziente non si può nutrire.
E in questo modo i pazienti hanno superato anche 20 anni di terapia senza problemi".