A gennaio di quest’anno, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha lanciato pubblicamente una nuova iniziativa di ricerca, finanziata con 215 milioni dollari. Obiettivo: migliorare la cura di cancro e diabete, e raccogliere informazioni preziose per la salute di tutti. Si tratta di un passo importante nella direzione della cosidetta “medicina di precisione”. Ma che cosa si intende per medicina di precisione o, come viene anche definita, "medicina personalizzata"? Come funzionano questi trattamenti super personalizzati che per molte patologie potrebbero cambiare radicalmente il futuro della medicina?
bersagli sbagliati. La considerazione di partenza è che i trattamenti oggi a disposizione, per quanto avanzati, sono "inefficienti". Come illustra un articolo su Nature, i dieci farmaci con il maggiore fatturato negli Stati Uniti funzionano, nel migliore dei casi, in un paziente su quattro (nel peggiore in uno su 25). In altre parole, milioni di persone prendono medicine che hanno per loro scarsa o nessuna efficacia perché è impossibile sapere in anticipo chi ne beneficerà e chi no.
Un nome nuovo per una cosa vecchia? In realtà, da ormai diverso tempo si parla di cure personalizzate, e quello che in genere si intende con questa espressione è la disponibilità di farmaci mirati verso forme di malattia, in particolare tumori, di cui è nota una componente genetica precisa.
Il primo entrato nella pratica con questa funzione è stato per esempio l’anticorpo monoclonale trastuzumab, approvato negli Stati Uniti nel 1998, per trattare i tumori del seno che esprimono sulle cellule il recettore HER2, all’incirca uno su quattro. Ma oggi sono diversi altri i farmaci oncologici diretti contro target molecolari specifici, utilizzati per trattare la leucemia mieloide cronica, alcune forme di tumori del polmone, del colon-retto o il melanoma.
Un altro caso è un farmaco contro la fibrosi cistica sviluppato per una piccola percentuale di malati portatori di una particolare mutazione. E i test genetici vengono per esempio utilizzati per valutare la risposta a farmaci nell’ambito di diversi altri settori della medicina, dalla psichiatria all’infettivologia (qui un articolo di Focus che affronta l’argomento).
Alcune terapie antiepilettiche, antiretrovirali e anticoagulanti, di fatto, prevedono preliminarmente l’esecuzione di un test del Dna per individuare chi davvero può trarre giovamento da certi farmaci, o coloro per i quali gli stessi farmaci sono sconsigliati, perché potrebbero scatenare effetti collaterali gravi.
In teoria, però, la medicina di precisione si propone di andare oltre, in particolare per quanto riguarda la “scala” delle ricerche, e le possibili ricadute per i pazienti.
Lavori in corso. L’iniziativa lanciata da Obama mira ad analizzare i dati genetici di un milione di americani, oltre a raccogliere informazioni dettagliate sul loro stile di vita e sulla salute, per creare conoscenze specifiche sui legami tra geni, ambiente e malattie.
Lo stato della California ha da poco annunciato un progetto simile, i cui primi test saranno finanziati con 2,4 milioni di dollari. E un’altra iniziativa nella stessa scia è quella finanziata, sempre con fondi pubblici, in Gran Bretagna: il 100,000 Genomes Project intende sequenziare il genoma di 100mila cittadini inglesi entro il 2017 per aumentare le conoscenze sulle malattie, a partire dai tumori e dalle malattie rare.
Casi emblematici. Combinando dati genetici con quelli clinici si dovrebbero poter ottenere diagnosi più precise e di conseguenza terapie più efficaci. In teoria, qualcosa di simile a quello che è capitato nel caso di un paziente di cui racconta un articolo sulla rivista Jama: un trentacinquenne affetto da un sarcoma ormai in fase terminale tornato a una vita pressoché normale dopo che un’analisi genetica del suo tumore ha mostrato, a sorpresa, una mutazione tipica di altre forme tumorali contro cui è efficace il farmaco imatinib.
Questioni di metodo. La “personalizzazione” della medicina pone anche inediti problemi. Lo strumento principe usato dalla ricerca clinica per valutare l’efficacia dei trattamenti è il cosiddetto studio clinico randomizzato: un gruppo omogeneo di pazienti viene diviso in due gruppi di cui uno assume il farmaco e l’altro no, e si osserva che cosa succede. Più alto è il numero di persone coinvolte, più affidabili sono considerati i risultati.
Che un farmaco possa avere un effetto particolarmente positivo su un certo sottogruppo di pazienti, e magari funzionare poco o per niente nella maggioranza, viene di solito scoperto per caso, analizzando a posteriori risultati “strani”. Ma questo modo di procedere è piuttosto inefficiente nel caso si voglia mirare a un trattamento su misura per ciascun singolo paziente.
Alcuni esperti ritengono che la medicina di precisione richieda anche di ripensare e standardizzare gli studi rivolti a singole persone, che dovrebbero essere seguite nel tempo prendendo in esame molto attentamente le loro caratteristiche genetiche e il loro stile di vita. Questioni metodologiche ancora tutte da codificare perché l’attendibilità sia sufficiente, e le informazioni sul caso singolo non si limitino ad essere considerate, come oggi di solito avviene, solo un aneddoto con scarso valore informativo.
L'aiuto della matematica. In questo contesto il ruolo della matematica diventa fondamentale, come ha spiegato a Focus Elena E. Giorgi, una ricercatrice italiana presso la Divisione teorica del Los Alamos National Laboratory, negli Stati Uniti.
(vedi intervista sul numero 268).
Semplificando un po’ «il compito del medico o del biologo è individuare il problema e porre la domanda iniziale al matematico» spiega Giorgi. «Per esempio: come si trovano le correlazioni tra certe mutazioni e un rischio più alto di contrarre il cancro al seno? Una domanda che prevede la conoscenza di quali geni siano espressi nel tessuto ghiandolare mammario. Il passo successivo è l’applicazione di un modello statistico per misurare la probabilità di sviluppare, a partire da un certo profilo genetico, il cancro. [...] La matematica e la statistica offrono modelli per l’analisi e l’interpretazione dei dati. I genetisti sono passati dal sequenziare un gene alla volta a ottenere l’intero genoma umano». Ciò apre nuove possibilità come la medicina personalizzata, che richiede modelli che prevedano la terapia più efficace dato il profilo genetico del paziente. Da qui la collaborazione fra medici, matematici, bioinformatici.
Il mercato dei dati. Un altro dei problemi posti da una medicina di precisione che voglia basarsi sui dati genetici dettagliati per orientare le cure è che, quando esistono, i database con le informazioni sulle varianti genetiche e l’evoluzione delle malattie sono spesso in possesso di gruppi privati. 23andMe, la più grande delle imprese di genomica personalizzata, è stata osteggiata per anni dalla FDA americana. Ora l'agenzia che regola i farmaci e la ricerca biomedica negli Stati Uniti ha cambiato rotta, concedendole l’autorizzazione a commercializzare alcuni suoi test. Nel frattempo però 23andMe si è rivolta a un altro redditizio mercato, quello della vendita dei dati genetici raccolti, quelli sulle circa 800mila persone che hanno utilizzato i suoi test dal 2006, anno della fondazione, a oggi.
Per lo sviluppo di farmaci sul morbo di Parkinson, per esempio, la Genentech, azienda biotecnologica del gruppo farmaceutico Roche, ha dovuto acquistare i dati per oltre 10 milioni di dollari.