Le mascherine sono la prima, essenziale barriera per proteggere gli altri - e in parte anche se stessi - dalle particelle virali. Già così rendono chi le indossa potenzialmente meno infettivo, perché bloccano una parte importante di goccioline respiratorie. Come sappiamo, però, non possono, da sole, scongiurare ogni rischio di trasmissione. Ecco perché due ricercatori della Northwestern University, in Illinois, hanno sviluppato un nuovo concept di mascherina, capace di ostacolare i droplets infettivi anche dal punto di vista chimico.
Un ecosistema sfavorevole. L'idea, descritta sulla rivista scientifica Matter e testata per il momento soltanto in laboratorio, è di modificare il tessuto interno delle mascherine introducendo uno strato con proprietà antivirali che moduli chimicamente le particelle in uscita, indebolendone la carica infettiva. Anche se al momento non si conoscono antivirali pienamente efficaci contro il SARS-CoV-2, la struttura dei virus è molto delicata: se alcune loro parti funzionano male, questi patogeni perdono rapidamente la loro capacità di infettare.
Lo strato in questione è a base di acido fosforico e sali di rame, due sostanze non volatili che creano un ambiente "locale" chimicamente sfavorevole a qualunque tipo di virus, e allo stesso tempo non possono essere vaporizzate né potenzialmente ingerite. Non rendono più difficile la respirazione, e non c'è il rischio che chi indossa la mascherina "modificata" le possa inalare.
Partiamo da qui. Il team ha inserito il mix delle due sostanze in uno strato di materiale conduttivo, la polianilina, capace di aderire saldamente alle fibre tessili di qualunque tipo di mascherina: nei tessuti a maglia larga e scarsa densità di fibre, come le garze mediche, il rivestimento ha alterato il 28% del volume dei droplets espirati. Applicato su tessuti più compatti, come i panni di carta monouso privi di pelucchi usati per le pulizie in laboratorio, lo strato antivirale ha modificato l'82% delle goccioline esalate. Dopo aver simulato ogni tipo di possibile emissione respiratoria, dagli starnuti alla tosse, alla semplice espirazione, gli scienziati hanno concluso che il rivestimento si adatterebbe a tutti i tessuti non-tessuti attualmente usati per le mascherine.
Gli autori dello studio sperano che la ricerca possa servire da base per altre sperimentazioni di questo tipo, anche più applicative, da eseguire con veri campioni virali o su campioni di pazienti.