Mangiare poco fa vivere più a lungo molte specie di animali, dai topi ai cani alle scimmie. Vale anche per la nostra? Non è ancora dimostrato con sicurezza. E non è ancora neppure chiaro per quali strade fisiologiche la cosiddetta restrizione calorica riesca ad allungare la durata della vita, o a rallentare l’invecchiamento.
Un nuovo studio ha compiuto però un notevole passo avanti nella comprensione dei meccanismi con cui una dieta stretta può far vivere di più. La chiave sarebbe nel miglioramento dei processi con cui il nostro corpo ripara il DNA danneggiato.
Giovani, ma vecchi. Gli autori, un gruppo di ricercatori della Erasmus University di Rotterdam, sono partiti dallo studio di topi che invecchiano precocemente per alcuni mutazioni, in modo simile a quanto avviene per certe malattie umane come la progeria, una sindrome rara nota anche al pubblico, che porta alla morte delle persone colpite da giovani per malattie tipiche della vecchiaia.
In questo genere di malattie, è difettoso il processo di riparazione dei danni al DNA delle cellule, che accumulandosi provocano un invecchiamento di tutti i tessuti dell’organismo, e alla sua decadenza anzitempo. I topi geneticamente modificati per mimare alcune di queste malattie vivono solo da 4 a 6 mesi, contro un paio di anni dei loro simili sani. Ma nello stesso tempo, questi animali mostrano a livello fisiologico dei segni di una “risposta di sopravvivenza” che somiglia proprio a quella anti-invecchiamento indotta dalla dieta severa: in pratica certi parametri di funzionalità delle cellule e degli organi migliorano, a spese della crescita del corpo.
Gli effetti della dieta. I ricercatori si sono chiesti se questa risposta potesse essere ancora aumentata tenendo i topi a stecchetto. Per verificarlo, hanno sottoposto un gruppo di questi animali a una dieta che prevedeva una riduzione di circa il 30 per cento delle calorie, mentre hanno permesso a un altro gruppo di mangiare a piacimento. Il risultato ha confermato l’ipotesi: i topi con regime alimentare ridotto hanno avuto in media una durata della vita restante addirittura triplicata. Non solo: hanno mostrato di invecchiare assai meno velocemente dei compagni. Tra i fatti più sorprendenti, i ricercatori hanno trovato che avevano il 50 per cento di neuroni in più, e segni molto minori di danni al DNA tipici dell’invecchiamento.
E per noi? È prematuro (oltre che pericoloso) pensare di mettersi a dieta stretta sperando nella lunga vita. Uno dei grandi interrogativi irrisolti è se questi risultati possano valere anche per l’uomo.
Ci sono alcuni indizi che possa essere così, ma non ancora confermati. I ricercatori sperano invece che la comprensione dei meccanismi molecolari che legano restrizione calorica e invecchiamento possano portare a nuove terapie per malattie come la progeria, e magari in generale per il decadimento legato all’età.