Sono stati presentati all'Ospedale San Raffaele di Milano i risultati di due sperimentazioni di terapia genica, finanziate da Telethon, che aprono la strada all'applicazione di questa tecnica a molte malattie genetiche per le quali oggi non esiste una cura.
La procedura, descritta nei dettagli in due articoli pubblicati da Science, ha permesso di guarire tre bambini malati di leucodistrofia metacromatica e altri tre affetti dalla sindrome di Wiskott-Aldrich.
La prima è una malattia neurodegenerativa determinata da un difetto dell'enzima arilsulfatasi A, che provoca l'accumularsi nel cervello di sostanze tossiche che normalmente vengono degradate; la seconda, che colpisce il sistema immunitario, è invece causata da alterazioni del gene Was e determina una maggiore suscettibilità alle infezioni, eczemi, disturbi della coagulazione e un rischio più alto di tumori del sangue e malattie autoimmuni.
In entrambi i casi, i medici e i ricercatori coordinati da Luigi Naldini, direttore dell'Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica (TIGET), sono riusciti introdurre nell'organismo copie sane dei geni difettosi, che hanno iniziato a funzionare e a produrre stabilmente le proteine carenti. «A tre anni dall'inizio della sperimentazione i risultati sono molto incoraggianti», dice il medico. «La terapia è sicura ed efficace e ha cambiato la vita di questi pazienti».
La leucodistrofia metacromatica è una grave malattia neurodegenerativa dovuta a un difetto del gene che codifica per l'enzima arilsulfatasi A, responsabile dello smaltimento dei sulfatidi, sostanze che, se permangono nel cervello, danneggiano la mielina che riveste i nervi. I bambini che ne soffrono hanno uno sviluppo nomale nei primi mesi di vita, ma poi iniziano a perdere le loro capacità cognitive e motorie. Non esiste nessuna cura capace di arrestare il processo neurodegenerativo, che porta a morte di solito entro pochi anni dalla diagnosi. La leucodistrofia metacromatica è una malattia rara, che colpisce un bambino su 625.000 nati.
La sindrome di Wiskott-Aldrich è una rara immunodeficienza dovuta a un difetto del gene Was, che colpisce solo i bambini maschi e si manifesta fin dall'infanzia con eczemi, infezioni ricorrenti, diarrea, sanguinamenti. Colpisce un bambino su un milione e fa aumentare il rischio di sviluppare malattie autoimmuni, linfomi e leucemie. I sintomi si possono controllare con terapie a base di immunoglobuline, farmaci steroidei o con l'asportazione della milza, ma la qualità della vita dei pazienti è comunque molto compromessa. La malattia si cura con il trapianto di midollo, ma non sempre è possibile trovare un donatore compatibile.
Come funziona. «La terapia genica utilizza virus per veicolare nell'organismo dei geni, che agiscono come se fossero farmaci», prosegue Naldini. «Nelle due sperimentazioni abbiamo usato come vettori virus HIV modificati per non essere infettivi, al cui interno è stato inserito il gene terapeutico. I vettori sono poi stati introdotti nelle cellule staminali del sangue dei pazienti, prelevate dal midollo osseo, e queste sono infine state reinfuse». L'approccio ha funzionato per entrambe le malattie, sebbene queste presentino caratteristiche molto diverse. «Per la sindrome di Wiskott-Aldrich il processo era in un certo senso più semplice, perché le cellule staminali in cui è stato introdotto il vettore virale erano già cellule del sangue, che una volta nell'organismo hanno potuto quindi iniziare subito a sostituire i globuli bianchi e le piastrine malate», spiega lo scienziato. «Già nei mesi successivi all'infusione delle staminali corrette si è iniziato a osservare un miglioramento dei sintomi nei bambini, che ora sono guariti», racconta Alessandro Aiuti, che ha diretto lo studio clinico per la sindrome Wiskott-Aldrich. «Prima del trattamento questi pazienti erano costretti a trascorrere lunghi periodi in ospedale. Oggi li vediamo solo per i controlli».
La sfida raccolta dal gruppo del TIGET era più complessa per la leucodistrofia metacromatica, perché in questo caso le cellule malate sono nel cervello, e non nel sangue. «In questo caso, il meccanismo terapeutico è più sofisticato», spiega Alessandra Biffi, che ha diretto lo studio per questa malattia. «Le cellule staminali contenenti il gene terapeutico hanno raggiunto il cervello attraverso in sangue, e lì hanno rilasciato la proteina utile, che ha iniziato a svolgere la sua azione ed è stata "raccolta" dalle cellule nervose circostanti, correggendone il difetto. Affinché questo si verificasse, è stato necessario far sì che le cellule staminali producessero una quantità di proteina molto alta. Questo risultato è stato raggiunto grazie a tecniche di ingegneria genetica».
I tre bambini che hanno beneficiato della cura sono stati scelti perché nel loro DNA era scritto che prima o poi avrebbero sviluppato la malattia, che si manifesta all'improvviso con gravi difficoltà motorie, la perdita della capacità di parlare e poi peggiora sempre più. «Al momento dell'intervento non avevano ancora nessun sintomo e, grazie alla terapia genica, non hanno mai manifestato i segni terribili di questa malattia e oggi anno una vita normale», conclude Biffi.
Il futuro. «Il nostro metodo potrebbe permettere di curare altre malattie genetiche del sangue e anche le altre malattie lisosomiali, che nel loro insieme colpiscono l'1 per cento dei nuovi nati», riprende Naldini. Anche per questo, i dati appena presentati sono veri e propri passi da giganti per la terapia genica, oggetto negli anni scorsi di speranze ma anche di polemiche dovute al mancato ottenimento dei risultati sperati. «Questa è la storia più bella che Telethon abbia mai raccontato ed è frutto di un lavoro duro durato molti anni, che testimonia che la ricerca scientifica per ottenere risultati importanti ha bisogno di tempo», ha detto Francesca Pasinelli, direttore generale di Telethon, che nel progetto ha investito 19 milioni di euro.
Al momento, i ricercatori si stanno ancora concentrando sulle due patologie oggetto delle pubblicazioni di Science. «Abbiamo trattato altri 10 pazienti, che hanno reagito bene alla terapia, ma abbiamo bisogno di tempo per confermare i risultati», spiega lo scienziato. «In collaborazione con un'importante casa farmaceutica, stiamo anche lavorando affinché la terapia che abbiamo sviluppato sia disponibile per tutti i malati, come un farmaco.»