Nei primi mesi della pandemia, l'idea che alcune persone potessero sviluppare una condizione cronica dopo l'infezione da coronavirus non sembrava importante, nell'urgenza di provare a salvare vite umane. Con il passare del tempo, però, il long covid (con i suoi sintomi più ricorrenti come stanchezza cronica, respiro corto, dolori muscolari, tosse secca, mal di testa, difficoltà cognitive) ha assunto contorni più definiti ed è stato riconosciuto come una sindrome altamente debilitante: non conta soltanto non contrarre la covid in forma grave, sarebbe preferibile evitare di ammalarsi del tutto, perché il SARS-CoV-2 ha sul sistema immunitario umano un impatto imprevedibile e non ancora del tutto compreso.
Ora che fondi e personale sono concentrati sul long covid e sul suo trattamento, ecco quattro domande a cui dovremmo rispondere il più in fretta possibile:
- quante persone contraggono il long covid e chi è considerato più a rischio?
- long covid: da che cosa dipende, di preciso?
- che relazione c'è tra il long covid e altre sindromi post virali?
- come aiutare le persone che soffrono di long covid?
1) Quante persone contraggono il long covid e chi è considerato più a rischio?
I primi "censimenti" di pazienti con long covid si concentravano sulle persone ricoverate in ospedale, che molto spesso riportano almeno un sintomo dell'infezione anche dopo diversi mesi dalla guarigione. Ma siccome la maggior parte di chi contrae la covid non richiede un ricovero ospedaliero, il metodo più preciso per capire la prevalenza del long covid è seguire nel tempo chiunque abbia ricevuto un tampone positivo. L'analisi più accurata è stata pubblicata dall'Ufficio di Statistica Nazionale del Regno Unito (ONS) che ha seguito 20.000 persone risultate positive fino ad aprile 2021: il 13,7% di esse riportava ancora sintomi dopo 12 settimane dal test.
In pratica più di una persona su 10 tra i guariti di covid finisce per trascinarsi il long covid per mesi. Se estendiamo le conclusioni dello studio inglese al resto del mondo, vorrebbe dire avere oltre 16 milioni di persone con long covid in attesa di cure. Come spiegato su Nature, questa condizione colpisce prevalentemente le donne, nonostante siano gli uomini a rischiare più spesso di ammalarsi di covid in forma grave. Un altro studio dell'ONS ha trovato che il 23% delle donne colpite da covid ha ancora sintomi dopo 5 settimane, contro il 19% degli uomini.
Il long covid sembra inoltre colpire con più frequenza le persone di mezza età: sempre secondo l'ONS, dopo 5 settimane dalla diagnosi la prevalenza della sindrome è del 25,6% tra i 35 e i 49 anni, mentre è meno comune (ma non infrequente) nei più giovani e nei più anziani.
Il 9,8% dei bambini tra i 2 e gli 11 anni manifesta ancora sintomi dopo 5 settimane dal tampone positivo.
2) Long covid: da che cosa dipende, di preciso?
Gli studi sulla biologia del long covid sono complicati da una questione primaria: si tratta di una malattia multisistemica, cioè che colpisce vari organi. Non solo: sotto l'espressione long covid ricadono diverse "famiglie" di disturbi (non esiste, cioè, un solo tipo di long covid). Difficile che il virus, in questi pazienti, sia ancora all'opera - l'organismo si ripulisce dal SARS-CoV-2 in qualche settimana - tuttavia alcuni frammenti virali potrebbero rimanere in circolazione più a lungo, persino per mesi, e continuare a confondere il sistema immunitario anche se non infettano più le cellule.
Il long covid potrebbe essere la conseguenza di una reazione autoimmune, in cui un'iniziale attivazione esagerata del sistema immunitario finisce per rivolgersi contro organi e tessuti dell'organismo stesso anziché contro virus. Monitoraggi periodici del sangue e della saliva dei pazienti che ne soffrono hanno rilevato livelli alterati di citochine (le molecole che aiutano a regolare la risposta immunitaria) nel sangue, oltre ad alcune proteine spie di una disfunzione neuronale.
A proposito delle ricadute cognitive, un'analisi dello studio inglese PHOSP-COVID, che ha tenuto traccia dei sintomi di 1.077 pazienti con long covid, ha individuato quattro gruppi di pazienti con sintomi diversi: tre di questi avevano difficoltà sul piano fisico e della salute mentale (ansia) ma nessun disturbo cognitivo, mentre un quarto gruppo mostrava lievi sintomi fisici, moderate alterazioni della salute mentale ma importanti difficoltà congnitive su memoria e linguaggio. I disturbi cognitivi sembrano manifestarsi separatamente dai restanti sintomi, una scoperta piuttosto inaspettata.
3) Che relazione c'è tra il long covid e altre sindromi post virali?
Non è affatto inusuale che un'infezione provochi strascichi duraturi anche dopo la guarigione ufficiale. Affaticamento, dolori dell'apparato muscolo-scheletrico, difficoltà cognitive e disturbi dell'umore sono stati riscontrati, a sei mesi dalla diagnosi, nel 12% delle persone colpite da malattie batteriche o virali, in uno studio su 253 pazienti: una percentuale molto simile a quella di prevalenza del long covid.
Importanti somiglianze sembrano esserci tra il long covid e la sindrome da fatica cronica, CFS o encefalomielite mialgica, una condizione a lungo termine che comporta sintomi come estrema stanchezza non alleviata dal riposo, dolore cronico, confusione mentale, difficoltà nel sonno e nella memoria, e che si scatena spesso dopo un'infezione virale, non è chiaro se a causa del patogeno stesso (forse il virus di Epstein-Barr, responsabile della mononucleosi) o di una risposta eccessiva del sistema immunitario.
Tuttavia, il fatto che il long covid non sia una sindrome univoca e ben definita complica il confronto. Alcuni ricercatori (come quelli dello studio DecodeME) stanno cercando di reclutare 20.000 pazienti per individuare i fattori genetici che contribuiscono alla CFS, e si procederà poi a un confronto con quelli trovati per il long covid.
4) Come aiutare le persone che soffrono di long covid?
Un trattamento vero e proprio contro il long covid ancora non c'è, ma fortunatamente stanno partendo i primi programmi di riabilitazione per questi pazienti (il sistema sanitario nazionale del Regno Unito ha finanziato con l'equivalente di 11,6 milioni di euro 69 cliniche in tutto il Paese, per aiutare chi soffre di questa condizione). Servono equipe multidisciplinari, perché ci sono pazienti che accusano anche 16, 17 sintomi diversi, e occorre la volontà di riconoscere il long covid come una disabilità: i pazienti devono stare a riposo anche per diversi mesi.
I trial clinici stanno testando gli effetti di farmaci antinfiammatori, anti-fibrotici (che contrastano cioè la formazione di tessuto cicatriziale) e anticoagulanti, sia su pazienti già con long-covid, sia su persone ricoverate per covid in ospedale o in quarantena con sintomi lievi nella propria abitazione: un possibile approccio potrebbe essere infatti tentare di prevenire il long covid quando ancora la malattia è in corso, anziché curarlo dopo la sua comparsa.
Si stanno inoltre studiando gli effetti sul long covid dei vaccini. Molti pazienti con questa condizione riferiscono infatti di sentirsi meglio dopo la vaccinazione, forse perché il vaccino cancella le tracce residue di virus nell'organismo, o perché aiuta a rimettere in asse il sistema immunitario.