A 41 anni, quando si è ammalata del morbo di Parkinson, aveva l’hobby della pittura, che coltivava come passatempo fin da ragazza. Ma dopo l’inizio della malattia dipingere è diventato una specie di ossessione. Ha dilapidato una fortuna per comprare tele, pennelli, colori e materiali per la pittura. Il suo appartamento è diventato un ritrovo di artisti, la vita familiare è stata completamente sconvolta.
Nel corso degli anni le cose si sono aggravate sempre più. Per dipingere non si accontentava delle tele, ma ricopriva qualunque superficie trovava a disposizione, dai muri di casa ai mobili fino agli elettrodomestici. Non dormiva più, passava il tempo solo a pitturare, ricoprendo notte dopo notte sempre lo stesso muro.
Alla fine viene ricoverata, sottoposta a un trattamento chirurgico per migliorare il tremore tipico della malattia. Smette di prendere i farmaci per il morbo e, insieme a quelli, scompare la mania per la pittura, che torna a essere l’hobby di prima.
Medicine che ispirano
I medici osservano spesso che il morbo di Parkinson, il disturbo neurologico il cui sintomo più evidente è il tremore delle mani e la difficoltà di movimento, sembra provocare un’improvvisa vena artistica anche in persone che prima della malattia avevano scarsa o nessuna propensione per le attività creative. Sul perché questa malattia faccia all’improvviso diventare un po’ artisti c’erano finora solo ipotesi. Un gruppo di ricercatori francesi, che descrivono nel loro lavoro su Frontiers in Neurology anche il caso della donna ossessionata dalla pittura, dà ora consistenza all’ipotesi che dà una spiegazione plausibile del meccanismo: la causa dello scoppio di creatività non è la malattia in sé, ma i farmaci usati per trattarla.
Pittori, scultori e poeti
Gli scienziati di Grenboble hanno preso in considerazione un gruppo di malati di Parkinson in procinto di sottoporsi a un trattamento chirurgico (chiamato Deep brain stimulation) per l’impianto nel cervello un dispositivo in grado di ridurre il tremore nelle fasi più avanzate della malattia. Tra di loro, ne hanno selezionato undici che avevano mostrato improvvise tendenze artistiche dopo l’inizio della malattia e del trattamento farmacologico. Qualcuno aveva iniziato a dipingere, altri a scolpire o a scrivere poesie. Poi hanno selezionato un gruppo “di controllo” di pazienti apparentemente privi di propensioni artistiche.
Quelli creativi, come è stato subito evidente, erano in cura con dosi assai più alte di farmaci rispetto a quelli “non creativi”. Fatto che, di per sé, non dimostra ancora niente. Ma al controllo successivo dopo la chirurgia, che ha permesso a tutti i pazienti di ridurre fortemente la terapia farmacologia, anche la creatività era scomparsa, oppure si era ridotte a forme molto più tranquille, come nel caso della donna ossessionata dalla pittura.
Secondo i ricercatori, è una prova convincente del fatto che la creatività nel morbo di Parkinson sia legata ai farmaci usati per trattare la malattia. Più in generale, sarebbe una conferma ulteriore del fatto che la creatività è, almeno in parte, dipendente dal cosiddetto circuito della dopamina.
Questo neurotrasmettitore è noto per essere responsabile del comportamento motorio e per essere coinvolto nei processi emozionali del piacere e della ricompensa. Nel morbo di Parkinson vengono danneggiati e progressivamente distrutti i neuroni che producono dopamina, e i farmaci usati per contrastare i sintomi della malattia mimano nel cervello proprio l’azione di questo neurotrasmettitore.
I ricercatori citano i casi dei molti artisti, da Edward Munch a Virginia Woolf, affetti da disturbi mentali come il disturbo bipolare, caratterizzato tra l’altro da disfunzioni del circuito dopaminergico. E quelli dei tanti altri, da Jack Kerouac a Andy Wharhol, che ricorrevano alle anfetamine, che aumentano la dopamina in circolo, per facilitare la loro ispirazione. Un esempio in più, secondo loro, che la creatività si annida anche (sicuramente non soltanto) nella biochimica del cervello.
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