Il tasso di letalità della COVID-19 è due volte maggiore tra i pazienti maschi: la questione era emersa già dalle osservazioni cliniche e dagli studi epidemiologici (anche italiani), ma ora l'analisi di una serie di database di pazienti COVID la conferma. Uomini e donne corrono lo stesso rischio di contagio da SARS-CoV-2, ma i primi sviluppano più spesso i sintomi gravi della malattia che possono portare alla morte. Lo studio in fase di pubblicazione su Frontiers in Public Health fornisce nuove informazioni sulle categorie di pazienti maggiormente a rischio.
Che cosa dicono i dati. Gli scienziati del Beijing Tongren Hospital (Pechino) hanno confrontato gli effetti dei coronavirus su uomini e donne in tre diversi dataset di pazienti: 43 curati nello stesso ospedale, 1056 registrati in un archivio pubblico e 524 pazienti contagiati dalla SARS nel 2003: il coronavirus SARS-CoV-2 attacca l'organismo in modo analogo al virus della SARS, così si è pensato di includere nell'analisi anche questo terzo gruppo. Lo studio ha confermato che i pazienti più anziani e con pregresse malattie (in particolare diabete e problemi cardiovascolari) contraggono la COVID-19 in forma più grave e rischiano più spesso il decesso.
Anche se la probabilità di contagio non è diversa per i maschi e femmine, i primi riportano in genere sintomi più gravi. Nel più grande dataset di pazienti COVID-19, oltre il 70% dei pazienti deceduti erano uomini: stando a questi dati, gli uomini correrebbero un rischio di morte da COVID-19 2,5 volte maggiore rispetto alle donne. Inoltre, essere maschio è un fattore di rischio significativo per la gravità dell'infezione, indipendentente dall'età. Una tendenza analoga è emersa anche nei pazienti contagiati da SARS nel 2003.
Punto debole. Un particolare interessante secondo gli scienziati è che i livelli di ACE2, la proteina bersaglio tanto del SARS-CoV-2 quanto del SARS-CoV, sono più alti negli uomini, ma anche nei pazienti con malattie cardiovascolari e con diabete, cioè nei gruppi che riportano conseguenze più gravi di COVID-19. Occorreranno nuovi studi su gruppi più ampi per confermare i risultati, ma intanto, si indaga sui possibili meccanismi protettivi messi in campo dal corpo femminile, che potrebbero essere sfruttati per salvare vite umane.
Due gruppi di scienziati sulle coste opposte degli Stati Uniti (a Long Island, New York, e a Los Angeles) stanno iniziando sperimentazioni cliniche che prevedono di somministrare per breve tempo agli uomini con COVID-19 ormoni femminili dall'effetto protettivo sul sistema immunitario: estrogeni e progesterone, espressi in abbondanza nelle donne in gravidanza, che sembrano contrarre la malattia da coronavirus in forma lieve.