Salute

È il lecanemab la nuova arma contro l'Alzheimer?

Il lecanemab rallenta il declino cognitivo nelle fasi iniziali della malattia di Alzheimer, a fronte però di effetti collaterali di una certa rilevanza.

Sono stati pubblicati New Enlgand Journal of Medicine gli attesi risultati della sperimentazione del lecanemab, un nuovo farmaco che rallenterebbe il declino cognitivo nei malati di Alzheimer se somministrato nelle fasi precoci della malattia. Si tratta di un anticorpo monoclonale, sviluppato da Eisai e Biogen, rivolto contro la proteina beta amiloide, che accumulandosi nel cervello dei malati forma le placche che hanno un ruolo chiave nella degenerazione del tessuto nervoso. Negli Usa, le due aziende hanno già avviato l'iter per l'approvazione del farmaco e la sua messa in commercio.

I numeri. Lo studio è stato condotto in 232 centri di cura in Nord America, Europa e Asia, e ha coinvolto 898 pazienti che hanno ricevuto il lecanemab per 18 mesi, e altri 897 che hanno invece seguito la terapia standard.

Al termine della sperimentazione, il farmaco aveva rallentato del 27% il declino delle capacità cognitive e il beneficio era accompagnato da una riduzione degli accumuli di beta amiloide. «Si tratta della sperimentazione più interessante e avanzata fra quelle in corso» commenta Giuseppe Di Fede, neurologo, responsabile del laboratorio di genetica e biochimica delle demenze all'Istituto Carlo Besta di Milano. «Per la prima volta vediamo non solo la riduzione delle placche, ma anche un beneficio clinico significativo, che è poi il dato che davvero ci interessa». 

Effetti collaterali. Sul versante degli effetti collaterali, lo studio riporta che il 13% dei pazienti ha avuto edemi cerebrali e il 17% emorragie (eventi registrati rispettivamente nel 2% e nel 9% di coloro che hanno seguito le terapie standard). Queste complicazioni si sono risolte nell'arco di qualche settimana e solo nel 3% dei casi hanno determinato sintomi.

Due decessi per emorragia cerebrale si sono tuttavia registrati in pazienti che avevano già concluso l'iter sperimentale e non stavano più assumendo il farmaco. Ma poiché al momento della morte i due non erano più parte della sperimentazione, il dato non è stato incluso nello studio appena pubblicato.

Una speranza? Alla luce dei risultati, già anticipati dalle due aziende nelle scorse settimane, la rivista Lancet ha parlato di una «speranza all'orizzonte», per una malattia che colpisce nel mondo 55 milioni di persone, e in Italia circa 750.000. Una speranza che andrà però confermata in particolare da un altro studio, che si concluderà nel 2027, condotto su pazienti che hanno iniziato la terapia quando la malattia non dava ancora nessun sintomo, ma nel cervello erano già presenti degli accumuli di beta-amiloide.

«Una difficoltà è proprio questa» conclude Di Fede, «il lecanemab, ma anche tutti gli altri farmaci allo studio, hanno maggiori possibilità di successo se la diagnosi è precoce e precede la comparsa dei sintomi. Proprio per questo, accanto alla ricerca farmacologica, la scienza si muove per sviluppare test che consentano di anticipare il più possibile l'individuazione della malattia».

1 dicembre 2022 Margherita Fronte
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