Milano, 5 mar. (AdnKronos Salute) - Le pari opportunità per le donne nelle sperimentazioni cliniche sui farmaci sono un obiettivo ancora da raggiungere. Nei test condotti per valutare la sicurezza e l'efficacia dei nuovi medicinali, le rappresentanti del gentil sesso sono da sempre 'cenerentole': fra gli arruolati gli uomini hanno fatto per decenni la parte del leone e il risultato è che "il numero delle reazioni avverse ai farmaci nella fascia di età 35-44 anni è quasi doppio nel genere femminile". Parola degli esperti intervenuti oggi a Milano al convegno 'Tutta cuore e cervello-Parkinson: le donne non tremano', organizzato in vista dell'8 marzo dall'Istituto neurologico Besta e dalla Regione Lombardia.
"La scelta di non arruolare le donne - è stato ricordato durante i lavori a Palazzo Lombardia - è stata presa in passato per ragioni etiche, per timore di una gravidanza durante la sperimentazione". Un caso eclatante e drammatico, infatti, sono stati "gli oltre 12 mila bambini nati focomelici negli anni '60 a causa della talidomide, farmaco antiemetico usato anche nelle donne in gravidanza". Ma un altro problema è che le donne reclutate nei test clinici sono economicamente più 'care' degli uomini: "Le donne non sono una categoria omogenea, in considerazione della variabilità ormonale che caratterizza la loro vita. Questa variabilità aumenta il numero dei campioni e prolunga la ricerca, aumentando i suoi costi".
Resta però il fatto che "l'organismo maschile e quello femminile rispondono in maniera diversa ai farmaci a causa delle diversità fisiologiche e anatomiche: le donne hanno un minore peso corporeo, una maggiore massa grassa e in generale più difficoltà nell'assorbimento gastrico dei farmaci", elencano gli specialisti. Quindi 'escluderle' dalle sperimentazioni le espone a effetti indesiderati difficili da prevedere, proprio perché non studiati.
Senza contare che "spesso anche i sintomi di una malattia possono essere diversi tra uomo e donna. Un esempio tipico è l'infarto - citano gli esperti - che nella donna non si presenta quasi mai con il classico dolore toracico, ma con disturbi simil-influenzali: astenia profonda, nausea, a volte vomito, sudorazione profusa e un dolore più frequentemente dorsale, irradiato alle braccia e al collo. Queste differenze però non sono così note, e quindi l'infarto nella donna non viene subito riconosciuto. Anche se uno studio condotto negli Stati Uniti ha dimostrato che tra il 1979 e il 2000 la mortalità delle donne per patologie cardiovascolari ha superato quella degli uomini".
In occasione del convegno milanese sono stati ricordati alcuni casi di sperimentazioni 'off-limit' per lei: "Tra gli anni '70 e '80, per proteggere la donna e il nascituro la Food and Drug Administration americana ha escluso le donne dagli studi clinici di fase III, tra cui il 'Physicians Health Study' sugli effetti dell'aspirina sulle malattie cardiovascolari in cui furono arruolati 22.071 uomini e nessuna donna.
Anche nel 'Multiple Risk Factor Intervention Trial', condotto tra il 1973-1982 per valutare le correlazioni tra pressione arteriosa, fumo, colesterolo e malattie coronariche, non fu coinvolta nessuna donna a fronte di 12.866 uomini".
E ancora: "Nel 'Longitudinal Study' sull'invecchiamento del National Institute on Aging di Baltimore (1958-1975) le donne erano escluse, nonostante costituissero i due terzi della popolazione con più di 65 anni. Infine, nel 1984 il primo studio sul ruolo degli estrogeni come possibile trattamento nella prevenzione delle malattie cardiache fu condotto esclusivamente su uomini, con gravi conseguenze in termini di tumori e femminilizzazione".