Il 7 aprile 2006 William Umbach e Harry Schmidt, topgun, maggiori della US Air Force, ricorrevano contro la condanna della corte marziale americana. Il 17 aprile 2002, in Afghanistan, dopo 10 ore di pattugliamento, avevano fatto cadere contro gli alleati canadesi una bomba laser-guidata da 230 chili. Una strage: 4 morti e 8 feriti per il fuoco amico. Ma prima del processo, nell’audizione, l’avvocato di Umbach tirò fuori uno dei segretucci del Pentagono: quando avevano sganciato la bomba i due piloti erano imbottiti di una dextro-anfetamina, la dexedrina. No, non se l’erano somministrata autonomamente. La ricetta veniva dal comando per evitare che si addormentassero in cabina, stanchi com’erano per i ritmi di decolli e atterraggi troppo intensi. Non solo. Uno degli effetti collaterali di questi farmaci è la paranoia. E un soldato in paranoia vede nemici dappertutto. La rivelazione sollevò un vespaio: come era finito un jet da 30 milioni nelle mani di un drogato?
Pillole magiche
Il fatto è che questo tipo di “molecole” capaci di cambiare lo stile di vita umana stanno proliferando.
Ruth Ann McClain, flautista di Memphis, nel Tennessee, soffriva di “panico da palcoscenico”: la sola idea di salire sul palco e suonare la terrorizzava; una patologia debilitante per un artista che si esibisce per lavoro. Ma anche la sua patologia è risolta dalla chimica. Carlo invece ha la fissa del sesso. Finora il motore più di tanto non gli consentiva. Ora, grazie alla chimica, fa gli straordinari.
Diventeremo tutti farma-shopper?
Sono tre esempi di lifestyle drugs, molecole che cambiano lo “stile di vita”. Grazie ad essi si supera la paura, la fame, il sonno, i limiti delle eiaculazioni quotidiane. Oppure sono scorciatoie per non impegnare la forza di volontà, e smettere comunque di ingrassare, fumare, drogarsi, stancarsi.
Non c’è da stupirsi, il mercato di queste sostanze è enorme: nel 2010 valeva 29 miliardi di dollari, e si prevede che salirà ancora perché sono gli stessi pazienti a chiederle. E sono costose. Certo non possono essere definite medicine perché in questi casi non servono a curare nulla. Fumare per esempio è uno scelta di stile di vita, non una malattia. Il farmaco è una molecola che cura una malattia. Ma che malattia è la paura da palcoscenico?
Doping prima del concerto
Ruth Ann McCain, la flautista racconta «Mi sudavano le mani tanto che temevo il flauto mi sfuggise di mano. E i tentativi di rilassarmi prima del concerto servivano a poco». Nel 1995 il suo medico le prescrisse un beta-bloccante. «Ero un’altra: mi esibivo senza alcuna paura». All’epoca insegnava flauto al Rhodes College di Memphis e così iniziò a raccomandare beta bloccanti agli studenti adulti che soffrivano di crisi d’ansia prima delle esibizioni. E per questo fu licenziata.
McClain ovviamente non è un’eccezione. I beta-bloccanti, presi a bassi dosaggi frenano l’ansia, apparentemente senza effetti collaterali. Ora nel mondo della musica classica i farmaci sono onnipresenti, come il doping nello sport. Nel 1987 un’indagine condotta dalla Conferenza Internazionale dei musicisti delle Orchestre Sinfoniche, che rappresenta le 51 maggiori orchestre Usa, rivelò che il 27% dei suoi aderenti aveva fatto uso di questi farmaci.
Ma secondo gli psichiatri la stima è al ribasso. Ma i beta-bloccanti oggi sono usati per tenere sotto controllo l’ansia da esame, o quella degli oratori. Si fa ma non si dice «E’ come per il Viagra, ammetterne l’uso sottintende una magagna, una mancanza di efficienza» ha confessato Robin McKee, primo flauto della San Francisco Symphony a Blair Tindall, giornalista del New York Times, «È un peccato che ci sia tanta riluttanza a dichiarare l’uso di un mezzo così utile».
Calma e mano ferma
E di vero doping si tratta. Perché non si limitano a tranquillizzare i musicisti. Pare migliorino proprio la performance. Alla fine degli anni 70 Charles Brantigan, chirurgo vascolare di Denver, studiò i beta-bloccanti nei musicisti classici dimostrando che non si limitava a ridurre la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna (lo si usa nel tiro con pistola per rendere ferma la mano), ma migliorava l’esecuzione. Charles Yesalis, docente alla Pennsylvania state University, impegnato nella ricerca sul doping nello sport sostiene che «La logica per la quale i farmaci vengono banditi nello sport dovrebbe valere anche per il podio». Arriveremo ai test a sorpresa anti-doping prima dei concerti o degli esami?
Ormai sono più di 10 le molecole che vengono prescritte per utilizzi che non possono essere definiti clinici (vedi tabella qui sotto).
Farmaco
Utilizzo clinico
Utilizzo lifestyle
concepimento
e iperattività
Aumento attenzione
Paroxetina
Fobia sociale
Timidezza
E tutte richiedono una prescrizione medica. «Sono tutti malati i consumatori di queste molecole? O hanno solo dei desideri o dei bisogni insoddisfatti? Quando il bisogno diventa malattia e quando un’aspirazione diventa un fine terapeutico legittimo?» si chiede Rod Flower dei dipartimento di biochimica farmacologica del William Harvey Research Institute a Londra. E prosegue...
Chiedimi se sono malato
Per prima cosa bisogna definire cos’è una malattia. Il vocabolo è scivoloso, e anche il termine salute è sempre più difficile da definire. La malattia sembra sempre più diventare una deviazione da uno standard considerato norma. Chi è fuori da quella norma è malato. Se poi si aggiunge che l’Organizzazione mondiale della sanità definisce salute “il benessere completo fisico, psicologico e sociale” , lo stato di salute diventa qualcosa di difficilmente raggiungibile. Tanto che c’è chi sostiene che è probabile raggiungerlo solo nel caso di un orgasmo simultaneo.
Pelati da "pelare"
Il maschio dopo i 40 anni è di solito calvo. A volte lo è già a 30, e in alcuni casi addirittura a 18. Eppure la calvizie maschile viene considerata da alcuni una “malattia da curare”, con la scusa che in alcuni (rarissimi) casi, una prematura calvizie può contribuire a generare problemi psicologici, evitabili con un farmaco che promuove la ricrescita dei capelli. In questo caso il farmaco potrebbe essere definito a scopo terapeutico mentre in altri casi il far ricrescere i capelli potrebbe essere considerato una questione di scelta personale, o di vanità.
Nessuno si domanda se la malattia non sia proprio nel considerare malattia una cosa assolutamente normale. O se non sia la stessa pubblicità a di prodotti cosmetici e non a creare la malattia.
Siamo allergici gli altri?
Un altro esempio è la paroxetina, usata per la terapia della “fobia sociale”, e pubblicizzata con uno slogan “immagina di essere allergico alla gente”. Certo, ci sono casi di vera “malattia psichiatrica” in cui i pazienti non riescono più a fare una vita sociale: non escono di casa, non vanno a lavorare, non frequentano amici. Questa è una forma psichiatrica vera, ma stiracchiandola può includere anche la timidezza che tutti specie in certe fasi della vita, provano. Insomma, stiamo trasformando in malattie quelle che sono normali espressioni del comportamento umano. È il fatto stesso di disporre di una molecola che converte un tratto della personalità in malattia. Ray Moynihan, giornalista del British medical journal afferma «Anche restringere la definzione di normale fa diventare malattie le lagne dei sani»
Il processo ha un nome vecchio, si chiama “medicalizzazione”, e non ce ne libereremo presto. Per questioni economiche: il settimanale economico Business Week ipotizza addirittura che il boom delle lifestyle drugs «potrebbe rendere l’industria farmaceutica il motore della crescita per l’intera economia Usa».
Il consumismo arriva in farmacia
La medicalizzazione è dovuta al consumismo dei pazienti, e alla pubblicità che l’industria farmaceutica fa arrivare direttamente al pubblico. Basta incoraggiare l’auto-diagnosi, e l’auto-prescrizione. Basta far arrivare al consumatore la notizia che esiste una nuova molecola, parlare dei suoi vantaggi e tacerne gli effetti collaterali. Poi lo specchio diventa uno strumento diagnostico: chi risponde di non aver bisogno di dimagrire? O di non aver problemi di quantità di capelli. A quel punto potrà addirittura essere l’impiegato della banca a consigliarvi di prendere un citalopram per non cadere nel solito shopping compulsivo. O per smettere di perdere tutto il denaro al casinò. E lo storcere il naso della partner di letto potrà spedirvi dal farmacista on line a ordinare del sildenafil. A quando la pillola per tramutare in bianca la pelle nera? O per cambiare il colore degli occhi?
Problemi di comunicazione
Il vero problema, di cui non si parla, è se il gioco vale la candela. Cioè se il bilancio rischi-benefici è valutato in modo adeguato. Nessun farmaco ha un solo effetto, e gli effetti secondari vanno da quelli lievi a quelli gravi, a quelli letali. In base al calcolo dell’umana sofferenza c’è una sorta di equivalenza fra la gravità della malattia da curare e il peso accettabile di effetti collaterali. Ma quando si comincia a dare molecole chimiche a soggetti sani, chi decide qual è il livello accettabile dei rischi ? Chi deve informare? E chi paga quando salteranno fuori le malattie iatrogene, causate dall’uso di questi farmaci?
L’unico problema è l’informazione sugli effetti collaterali: se la decisione di assumere o non assumere questo tipo di molecole viene lasciata al cittadino non più paziente, allora l’informazione non può essere solo quella che invita al consumo, ma deve essere un’attenta analisi e una spiegazione completa degli effetti collaterali che certo non può essere lasciata alle aziende produttrici come si fa oggi per i cosmetici.
E i farmaci veri, che fine faranno?
In Brave New World di Huxley c’era Soma, sviluppata da «duemila farmacologi e biochimici», una sostanza elevata a sacramento. «.. c’è sempre Soma da dare per una vacanza dalla realtà. E c’è sempre Soma per calmare la tua rabbia, per riconciliarti con il tuo nemico, per renderti paziente e sopportare la sofferenza», spiega il Controller. «Chiunque può essere virtuoso ora. Almeno metà della tua morale te la puoi portare dietro in una bottiglia». La visione di Huxley di una pax pharmacologica non sembra più né fantastica, né remota. Ma quello era un romanzo. Che cosa succederà nella realtà? E soprattutto chi si occuperà dei farmaci che devono curare veramente le malattie se i soldi per l’industria farmaceutica verranno fuori da queste molecole? Chi si occuperà dei vaccini di cui già poco ci si occupa visto che le lifestyle drugs sono sicuramente un mercato più allettante?
Una sola malattia non sarà mai segnalata dalle aziende: è la telecondria, affligge decine di migliaia di italiani. Se anche la cura esistesse, e fosse in grado di immunizzare i telespettatori e i lettori dei giornali dalla martellante pubblicità di malattie e terapie orchestrata dalle aziende farmaceutiche, nessuno ne parlerebbe, perché di chi sarebbe l’interesse a parlarne?
Ultimo aggiornamento: 2010