Milano, 20 ott. (AdnKronos Salute) - La differenza tra farmaci e placebo si sta assottigliando sempre di più nei trial americani. Alcuni esperti sostengono che, se oggi si ritestassero molti dei più noti medicinali contro ansia e depressione, questi difficilmente andrebbero oltre la fase sperimentale. Un bel grattacapo per le industrie farmaceutiche che spendono circa 1 miliardo di dollari in ricerca e sviluppo prima che una molecola possa essere sperimentata sull'uomo. Affinché un farmaco possa essere immesso sul mercato, deve infatti dimostrare di essere più efficace di una sostanza priva di principi attivi.
L'effetto placebo si ottiene quando le aspettative del paziente fanno sì che la terapia funzioni, indipendentemente da ciò che viene somministrato. Negli Stati Uniti questo fenomeno è in crescita, e uno studio pubblicato su 'Pain' e ripreso dalla Bbc online cerca di capire il perché. I ricercatori della McGill University di Montreal (Canada) hanno analizzato i dati di 80 trial su farmaci condotti negli Usa contro il dolore neuropatico. Tra i motivi dell'aumento dell'effetto placebo, gli scienziati guidati da Jeffrey Mogil hanno evidenziato il fatto che gli Stati Uniti, con la Nuova Zelanda, sono gli unici Paesi al mondo dove è permessa la pubblicità diretta tra casa farmaceutica e consumatore. Poiché l'effetto placebo è legato alle aspettative del paziente, il marketing può avere la sua influenza.
Tuttavia Mogil e colleghi ipotizzano che la ragione sia da ricercare nei trial americani, che sono aumentati e tendono a durare più a lungo rispetto a quelli extra-Usa. L'effetto collaterale, secondo gli esperti, sarebbe che studi finanziati con grossi budget e molto lunghi facciano pensare al paziente di essere stato ingaggiato in un percorso da cui trarrà benefici. Infine, negli States i trial vengono spesso condotti dalle Cro, Contract Research Organization, società esterne che supportano le attività delle aziende farmaceutiche. Secondo gli autori dello studio, hanno personale più amichevole rispetto ai ricercatori accademici impegnati su molti fronti.
Secondo John Farrar, neurologo ed epidemiologo all'università della Pennsylvania, più si dedicano attenzioni ai pazienti e più si aumentano le loro aspettative. In più, per Farrar il rischio è che le Cro reclutino persone sovrastimando i sintomi per renderle idonee. "Assistiamo inoltre alla crescita di quelli che chiamiamo 'pazienti professionisti', cioè persone che partecipano ai trial cercando di guadagnarci", sottolinea l'esperto.
Secondo il neurologo, per ridurre l'effetto placebo è importante cambiare il disegno dei trial rendendo più severo il reclutamento dei malati, essendo più vaghi sui criteri per l'idoneità in modo da allontanare i 'professionisti' e aggiungendo alla sperimentazione un terzo gruppo, cui somministrare un farmaco la cui efficacia è già stata dimostrata.
A queste indicazioni Nathaniel Katz, presidente di Analgesic Solution, uno studio di consulenza che aiuta le aziende farmaceutiche a evitare di fallire i trial, aggiunge una buona pratica: la sincerità con i pazienti. E' importante dire loro che "sono parte di una sperimentazione su un farmaco che può anche non funzionare e che loro possono non ricevere". "E anche se funziona - continua Katz - è efficace solo per circa un terzo dei pazienti, che è quanto di meglio si possa sperare di questi tempi".
La Analgesic Solution allena anche i ricercatori dei trial a evitare "il linguaggio del corpo impropriamente ottimista", come mettere un braccio attorno al paziente, stringere la loro mano o guardarlo negli occhi. "Sono tutti atteggiamenti che migliorano le aspettative", conclude Katz.