Per me, erano i calabroni.
Era un pomeriggio d'estate, avevo 12 anni e stavo correndo in un campo incolto vicino a casa di un'amica. Diedi un calcio a un nido di calabroni grande quanto un pallone. Uno squadrone incattivito di insetti si scagliò sulla mia gamba. Le loro punture sembravano aghi roventi. Li ho scacciati e sono corso a cercare aiuto, ma in pochi minuti mi sono accorto che stava succedendo qualcos'altro. Intorno alle punture era apparsa una costellazione di puntini rosa. L'irritazione sulla pelle si gonfiava e stava salendo sulle gambe. Stavo avendo una reazione allergica.
L'amica di mia madre mi diede degli antistaminici e mi caricò sulla sua auto. Ci dirigemmo all'ospedale della contea e durante il viaggio ero sempre più terrorizzato. Avevo una vaga idea delle cose terribili che possono accadere quando si scatenano le allergie. Immaginavo l'orticaria che arrivava fino alla gola e mi soffocava.
Ma sono sopravvissuto per raccontarvi questa storia. All'ospedale l'eruzione cutanea si placò, lasciandomi con una tremenda paura dei calabroni. Un test ha poi confermato che sono allergico a questi insetti. Non alle api o alle vespe, ma solo a quel tipo di calabrone che mi aveva punto.
La dottoressa del pronto soccorso mi disse che se dovesse accadere di nuovo potrei non essere così fortunato. Mi diede una EpiPen e mi disse di iniettarmela nella gamba nel caso succedesse ancora. L'epinefrina serve ad alzare la pressione sanguigna, ad aprire le vie respiratorie e probabilmente a salvarmi la vita. Sono stato fortunato: è successo un pomeriggio di 35 anni fa e da allora non mi sono imbattuto in altri nidi di calabroni. Ho perso la mia EpiPen anni fa.
L'esercito degli allergici. Chiunque abbia un'allergia ha una storia da raccontare su come ha scoperto che il proprio sistema immunitario va in tilt quando qualche particolare molecola si insinua nel proprio corpo. Ci sono centinaia di milioni di queste storie. Soltanto negli Stati Uniti, si stima che 18 milioni di persone soffrano di rinite allergica e le allergie alimentari colpiscono milioni di bambini americani. In molti altri paesi la diffusione di allergie è crescente. La lista di allergeni include (ma non si limita) a: lattice, oro, polline (in particolare ambrosia, loglio e farinello), penicillina, veleno di insetti, arachidi, papaya, meduse, profumo, uova, feci di acari, noci pecan, salmone, carne bovina e nickel.
Una volta che queste sostanze innescano un'allergia i sintomi variano in una gamma che va dal fastidioso al mortale.
Possono manifestarsi orticaria e gonfiore delle labbra. La rinite allergica provoca starnuti e occhi irritati. Le allergie alimentari possono causare vomito e diarrea. Per una minoranza sfortunata, le allergie possono scatenare una reazione totale del corpo potenzialmente fatale chiamata shock anafilattico.
Il fardello collettivo delle allergie è enorme, ma le cure sono limitate. L'EpiPen può salvare delle vite, ma le cure a lungo termine disponibili offrono risultati discutibili per quei poveretti sfiniti dall'allergia alla muffa o all'annuale rilascio del polline. Gli antistaminici riducono spesso i sintomi, ma come altri trattamenti provocano fiacchezza e sonnolenza.
Che cosa succede nel corpo? Se gli scienziati comprendessero le allergie, potremmo inventare trattamenti più efficaci, ma sotto le reazioni allergiche c'è un'intricatissima rete di cause. Cellule fuori controllo, rilascio di sostanze chimiche, trasmissione di segnali. Gli scienziati sono riusciti a mappare solo una parte del processo. C'è inoltre un mistero ancora più grande alla base di questa rete biochimica: perché mai esistono queste allergie?
«È proprio questa la domanda che mi appassiona» mi ha detto recentemente Ruslan Medzhitov. «È un grosso problema, fondamentale ma completamente sconosciuto».
Mentre passeggiamo nel suo laboratorio, all'ultimo piano dell'Anlyan Center for Medical Research and Education alla Yale School of Medicine, il suo staff di assegnisti e specializzandi lavora tra grosse taniche di ossigeno e incubatori pieni di cellule immunitarie. «È un gran casino, ma è produttivo» mi dice con un'alzata di spalle. La faccia di Medzhitov sembra quella di un pugile, massiccia, rotonda, con un naso largo e schiacciato, ma parla con morbida eleganza.
Il "casino" di Medzhitov è stato eccezionalmente produttivo. Negli ultimi vent'anni ha fatto scoperte fondamentali sul sistema immunitario, che gli sono valse una serie di importanti premi. Lo scorso anno è stato il primo a ricevere il premio Else Kröner Fresenius da 4 milioni di euro. Non ha ancora vinto il Nobel, ma molti dei suoi colleghi pensano che lo meriterebbe: nel 2011, 26 massimi immunologi hanno scritto a Nature protestando perché la ricerca di Medzhitov non era stata presa in considerazione per il premio.
Una nuova teoria. Ora Medzhitov si sta occupando di una questione che potrebbe cambiare un'altra volta l'immunologia: perché ci vengono le allergie? Nessuno ha una risposta certa, ma la teoria più accreditata suggerisce che le allergie sono un meccanismo mal riuscito di difesa contro i parassiti intestinali. Nel mondo industrializzato, dove le infezioni sono rare, questo sistema reagisce in maniera esagerata contro bersagli inoffensivi, facendoci stare male.
Secondo Medzhitov questa teoria è sbagliata. Le allergie non sono semplicemente un errore biologico. Al contrario, sono una difesa essenziale contro agenti chimici nocivi: una difesa che è servita ai nostri antenati per decine di milioni di anni e che perdura ancora oggi. Medzhitov ammette che è una teoria controversa, ma è sicuro che la storia gli darà ragione. «Penso che per un po' ci sarà una forte resistenza all'idea» mi dice «poi tutti cominceranno a dire «ah, sì, è chiaro, è ovvio che sia così».
La storia delle allergie. I medici del mondo antico conoscevano le allergie. Tre mila anni fa i dottori cinesi descrissero una "allergia delle piante" che causava raffreddori in autunno. Vi sono testimonianze che il faraone egizio Menes sia morto a causa della puntura di una vespa nel 2641 a.C. e due millenni e mezzo più tardi il filosofo romano Lucrezio scrisse che «quello che è cibo per un uomo è veleno per un altro».
Solo poco più di un secolo fa gli scienziati hanno scoperto che tutti questi sintomi sono diverse teste della stessa hydra. Fino a quel momento i ricercatori avevano scoperto che molte malattie sono causate da batteri e altri patogeni e che combattiamo questi invasori con un sistema immunitario: un esercito di cellule che rilasciano agenti chimici mortali e anticorpi ad hoc. Hanno presto scoperto che il sistema immunitario può anche recare danno all'organismo.
All'inizio del Novecento gli scienziati francesi Charles Richet e Paul Portier stavano studiando il modo in cui le tossine colpiscono il corpo. Iniettarono piccole quantità di veleno di anemoni di mare in alcuni cani e aspettarono circa una settimana per poi iniettare una nuova dose più ridotta. Dopo alcuni minuti, i cani morirono. Invece di proteggere gli animali dal veleno, il sistema immunitario li aveva resi più vulnerabili.
Nasce il termine allergia. Altri ricercatori osservarono che alcuni medicinali provocavano orticaria e altri sintomi. Con l'esposizione, invece di fornire protezione contro le malattie infettive, gli anticorpi aumentavano la sensibilità del soggetto. Il medico austriaco Clemens von Pirquet si chiese come mai queste sostanze cambiavano il modo in cui il corpo reagiva. Per descrivere questa reazione, coniò il termine "allergia" dalle parole greche allos (altro) ed ergon (lavoro).
Nei decenni successivi gli scienziati scoprirono che gli stadi molecolari di queste reazioni erano molto simili. Il processo inizia quando un allergene entra in contatto con una delle superfici del corpo (pelle, occhi, narici, bocca, vie respiratorie o intestino). Queste superfici contengono cellule immunitarie che agiscono come sentinelle.
Quando una di queste incontra un allergene lo fagocita, lo distrugge e circonda il suo strato esterno con frammenti di questa sostanza. Poi la cellula individua il tessuto linfatico e trasmette i frammenti ad altre cellule immunitarie che producono un anticorpo chiamato immunoglobulina E, o IgE.
Sappiamo "come" funzionano le allergie. Questi anticorpi innescheranno una reazione se incontreranno nuovamente l'allergene. La reazione inizia quando un anticorpo attiva una componente del sistema immunitario chiamato mastocita che secerne una raffica di agenti chimici. Alcuni di questi agenti si aggrappano ai nervi, provocando prurito, tosse e a volte muco. I muscoli delle vie respiratorie possono contrarsi e rendere difficile la respirazione.
Questo meccanismo, studiato in laboratorio nell'ultimo secolo, spiega il come del mistero delle allergie, ma il perché rimane ancora senza una risposta. Ed è sorprendente perché la risposta è piuttosto semplice quando si parla di molti aspetti del sistema immunitario. I nostri antenati affrontavano costanti aggressioni da parte di agenti patogeni. La selezione naturale ha favorito mutazioni che ci hanno aiutato a proteggerci da questi attacchi e queste mutazioni si sono accumulate producendo le difese di cui ci serviamo tuttora.
Non sappiamo "perché" vengono le allergie. È più difficile invece capire come la selezione naturale può aver prodotto le allergie. Un'enorme reazione immunitaria contro agenti innocui probabilmente non è un fattore che ha aiutato la sopravvivenza dei nostri antenati. Anche le allergie sono stranamente selettive: solo alcune persone hanno allergie e sono alcune sostanze sono allergeni. A volte le persone sviluppano allergie in età relativamente avanzata, altre volte le allergie di cui abbiamo sofferto da bambini spariscono. Per decenni nessuno poteva nemmeno immaginare a che cosa servisse l'IgE. Non mostrava efficacia contro nessun virus o batterio, sembrava che avessimo svilupato uno speciale tipo di anticorpo con l'unico scopo di farci stare uno schifo.
Un primo indizio apparve nel 1964. La parassitologa Bridget Ogilvie stava studiando come il sistema immunitario respinge i parassiti intestinali. Si rese conto che i ratti infettati dai vermi producevano grandi quantità di ciò che dopo sarebbe stato chiamato IgE. Studi successivi rivelarono che gli anticorpi indicavano al sistema immunitario di aggredire i vermi.
I parassiti intestinali rappresentano un serio pericolo, non solamente per i ratti, ma anche per gli esseri umani. L'ancylostoma duodenale può causare perdite di sangue dall'intestino. La fasciole epatiche possono danneggiare il tessuto del fegato e causare il cancro. I cestodi possono provocare cisti al cervello. Più del 20 per cento di tutti gli abitanti della Terra soffre di questa infezione, molti dei quali nei paesi più poveri.
Prima dei sistemi pubblici di sicurezza sanitaria e alimentare, i nostri antenati dovevano affrontare questi e altri parassiti nel corso di tutta la loro vita.
La teoria dei parassiti. Durante gli anni Ottanta molti scienziati hanno discusso animatamente sulla connessione tra questi parassiti e le allergie. Forse i nostri antenati hanno sviluppato la capacità di riconoscere le proteine sulla superficie dei vermi parassiti e di rispondere con anticorpi IgE. Gli anticorpi attivano le cellule del sistema immunitario nella pelle e nell'intestino per respingere velocemente qualsiasi parassita che tenti di farsi strada all'interno. «Abbiamo circa un'ora per reagire in modo che si riduca la possibilità che questi parassiti sopravvivano» sostiene David Dunne, parassitologo dell'Università di Cambridge.
Secondo la teoria dei parassiti, le proteine di questi vermi hanno forma simile a quella di altre molecole che incontriamo comunemente nelle nostre vite. Se ci imbattiamo in queste molecole, ci difendiamo senza motivo. «L'allergia è soltanto uno sfortunato effetto collaterale nella difesa contro i vermi parassiti» dice Dunne.
Medzhitov studiò la teoria dei parassiti nelle allergie quando era apprendista immunologo. Dieci anni dopo però iniziò a sollevare alcuni dubbi. «Cominciavo a capire che non aveva senso», mi dice. Così iniziò a pensare a una sua originale teoria.
La riflessione è una parte importante del metodo di studio di Medzhitov. Si tratta di un'eredità ricevuta dai suoi studi in Unione Sovietica tra gli anni Ottanta e Novanta, quando le università erano poco attrezzate e non avevano interesse nel produrre buoni scienziati. Il primo ciclo di studi lo fece all'Università di Tashkent in Uzbekistan. Ogni autunno i professori mandavano gli studenti nei campi di cotone ad aiutare nel raccolto. Lavoravano ogni giorno dall'alba al tramonto. «Era terribile» racconta Medzhitov. «Se non lo facevi venivi espulso dall'Università». Ricorda di aver portato di nascosto dei libri di biochimica al campo e di essere stato ammonito dal direttore del dipartimento per questo.
LA storia di Medzhitov. La specializzazione non andò molto meglio. Medzhitov arrivò all'Università di Mosca subito dopo il collasso del regime sovietico. L'Università era senza soldi e Medzhitov non aveva l'attrezzatura necessaria per svolgere gli esperimenti. «Passavo quasi tutto il mio tempo leggendo e pensando» mi racconta.
Principalmente pensava a come il nostro corpo entra in contatto con l'esterno. Possiamo percepire la radiazione elettromagnetica con gli occhi e le vibrazioni dell'aria con le orecchie. Secondo Medzhitov, il sistema immunitario è un altro sistema per riconoscere il mondo esterno, in grado di rilevare le caratteristiche delle molecole, invece della luce o del suono.
In cerca di materiale su questo tema, si imbatté in alcuni riferimenti a un saggio del 1989 scritto da Charles Janeway, un immunologo di Yale, intitolato Avvicinarsi all'asintoto? Evoluzione e rivoluzione nell'immunologia. Medzhitov ne fu affascinato e mise da parte per alcuni mesi il suo assegno di ricerca per comprare una ristampa del saggio. Ne valse la pena, perché la lettura lo avvicinò alle teorie di Janeway che gli cambiarono la vita.
All'epoca Janeway sosteneva che gli anticorpi hanno un grande inconveniente: il sistema immunitario richiede giorni per sviluppare un anticorpo efficace contro un nuovo invasore. Ipotizzò che il sistema immunitario avesse un'altra linea di difesa in grado di offrire una protezione più immediata. Forse il sistema immunitario poteva usare un meccanismo diverso per riconoscere in fretta batteri e virus, permettendogli di innescare una risposta rapida.
Medzhitov, che stava riflettendo sulla stessa cosa, scrisse immediatamente a Janeway. Questi rispose e iniziarono uno scambio che avrebbe portato Medzhitov a New Haven, nel Connecticut, nel 1994, dove sarebbe diventato ricercatore nel laboratorio di Janeway (il quale morì nel 2003).
«Parlava pochissimo inglese e non aveva quasi nessuna esperienza di laboratorio umido» racconta Derek Sant’Angelo, suo collega all'epoca. Sant’Angelo, della Robert Wood Johnson Medical School del New Jersey, ricorda di avere incontrato Medzhitov una sera mentre teneva una pipetta meccanica in una mano e una provetta contenente dei batteri nell'altra. Doveva usare la pipetta per rimuovere alcune gocce di batteri dalla provetta per trasferirle su un vassoio sul banco da lavoro. «Spostava lo sguardo lentamente tra la pipetta, il vassoio e la provetta» ricorda Sant'Angelo. «In teoria sapeva che la pipetta doveva essere usata per spostare i batteri sul vassoio, ma non aveva idea di come farlo».
Medzhitov ancora si stupisce del fatto che Janeway l'abbia preso a lavorare con sé. «Credo che l'unico motivo fosse che nessun altro dava credito alla sua idea» dice.
Un nuovo capitolo dell'immunologia. Con l'aiuto di Sant'Angelo e altri membri del laboratorio, Medzhitov imparò rapidamente. Presto lui e Janeway scoprirono una nuova classe di sensori presenti sulla superficie di alcuni tipi di cellule immunitarie. Se attaccati, i sensori si stringono intorno all'intruso e innescano un allarme chimico che attiva altre cellule immunitarie alla ricerca nella zona di patogeni da uccidere. Un modo veloce e accurato di percepire e rimuovere invasioni batteriche.
La scoperta di questi sensori, ora conosciuti come recettori di tipo Toll, ha rivelato una nuova dimensione nelle nostre immunodeficienze ed è stata accolta come uno dei principi fondamentali dell'immunologia.
Ha anche aiutato a risolvere un arcano della medicina.
Le infezioni a volte producono quello che viene chiamata sepsi: una terribile infiammazione che colpisce tutto corpo. Si stima che ne soffra circa un milione di persone all'anno soltanto negli Stati Uniti e che nella metà dei casi porti alla morte. Per anni, gli scienziati hanno pensato si trattasse di un malfunzionamento del sistema immunitario provocato da una tossina batterica, ma la sepsi è in realtà un'esasperazione di una delle comuni difese immunitarie contro i batteri e altri intrusi. Invece di agire localmente, il sistema immunitario risponde accidentalmente su tutto il corpo. «In uno shock settico questi meccanismi si attivano molto più violentemente del necessario» spiega Medzhitov. «E questo è ciò che uccide».
L'idea di curare le persone non è ciò che spinge Medzhitov a fare scienza. È più interessato alle questioni essenziali che riguardano il sistema immunitario. Sostiene però che le cure non si troveranno mai se i ricercatori continueranno a dare risposte sbagliate alle domande basilari. Solo ora che gli scienziati hanno un'idea chiara della biologia alla base della sepsi possono sviluppare terapie che combattono la vera causa della patologia: l'eccesso di reazione dei recettori di tipo Toll. (I test sono in corso e i risultati raccolti finora sono promettenti). «Trent'anni fa si pensava: "qualsiasi cosa provochi lo shock settico è una cosa brutta" ma ora sappiamo che non è così» dice Medzhitov.
Dopo la scoperta dei recettori, Medzhitov ha continuato la sua ricerca sul tema. Se il sistema immunitario ha sensori speciali per batteri e altri invasori, forse possiede sensori non ancora scoperti contro altri nemici. Così ha iniziato a riflettere sui parassiti intestinali, l'IgE e le allergie. Le cose non quadravano.
È vero che il sistema immunitario produce IgE quando rileva vermi parassiti. Ma alcuni studi suggeriscono che l'IgE non è essenziale per combattere questi invasori. Per esempio, gli scienziati hanno progettato topi che non sono in grado di produrre IgE e hanno scoperto che sono comunque in grado di creare una difesa contro i vermi parassiti. Inoltre Medzhitov era scettico rispetto all'idea che gli allergeni fossero scambiati per proteine dei parassiti. Molti allergeni, come il nickel o la penicillina, non hanno nessuna controparte nella biologia molecolare dei parassiti.
Più Medzhitov rifletteva sugli allergeni, meno appariva importante la loro struttura. Forse quello che accomuna gli allergeni non è la loro forma, ma il modo in cui agiscono.
Una teoria già intravista. Sappiamo che gli allergeni provocano spesso un danno fisico.
Sventrano le cellule, irritano le membrane, fanno a brandelli le proteine. Forse, pensava Medzhitov, gli allergeni provocano così tanto danno che abbiamo bisogno di difenderci da loro. «Se pensiamo ai principali sintomi delle reazioni allergiche (naso che cola, lacrimazione, starnuti, tosse, prurito, vomito, diarrea) ci accorgiamo che hanno una cosa in comune» spiega Medzhitov, «hanno tutti a che fare con l'espulsione». Improvvisamente il mistero delle allergie prese un'altra direzione. Le allergie non erano più un cortocircuito del corpo, ma la sua strategia per sbarazzarsi degli allergeni.
Mentre Medzhitov esplorava questa teoria, scoprì che l'idea era stata sfiorata di tanto in tanto negli anni. Nel 1991, per esempio, la biologa dell'evoluzione Margie Profet sostenne che le allergie servono a combattere le tossine. Gli immunologi scartarono l'idea, forse perché Profet era una outsider. Medzhitov trovò la sua teoria molto utile. «Fu liberatorio» dice.
Insieme a due dei suoi studenti, Noah Palm e Rachel Rosenstein, Medzhitov pubblicò la sua teoria su Nature nel 2012 e iniziò a fare degli esperimenti. Prima cercò un legame tra il danno e le allergie. Il suo team iniettò in alcuni topi l'enzima PLA2, un allergene presente nel veleno delle api che distrugge le membrane delle cellule. Come previsto, i sistemi immunitari degli animali non rispondevano al PLA2 di per sé, ma si attivavano soltanto quando le cellule venivano danneggiate, producendo quindi anticorpi IgE.
Un'altra previsione della teoria di Medzhitov è che questi anticorpi avrebbero protetto i topi, anziché semplicemente ucciderli. Per testarlo, Medzhitov e i suoi colleghi iniettarono una seconda dose di PLA2, questa volta più massiccia. Se gli animali non erano stati ancora esposti alla PLA2, la dose provocava un crollo della temperatura corporea e a volte la morte. I topi che vi erano già stati esposti invece producevano una reazione allergica che, per ragioni ancora non chiare, riduceva l'impatto della PLA2.
Medzhitov ancora non lo sapeva, ma dall'altra parte del paese un altro scienziato stava conducendo un esperimento che avrebbe fornito un sostegno molto importante alla sua teoria. Stephen Galli, direttore del dipartimento di patologia alla Stanford University School of Medicine, per anni ha studiato i mastociti, misteriose cellule immunitarie in grado di uccidere durante le reazioni allergiche. La sua idea è che queste cellule siano in realtà un aiuto per il corpo. Nel 2006 Galli e i suoi colleghi avevano scoperto che i mastociti distruggono una tossina presente nel veleno di vipera. Questa scoperta ha portato Galli a chiedersi, come Medzhitov, se le allergie hanno una funzione protettiva.
Per scoprirlo, Galli e il suo team iniettarono la quantità pari a uno o due punture di veleno d'ape in alcuni topi, inducendo una reazione allergica. Poi iniettarono nelle stesse cavie una seconda dose potenzialmente letale per verificare se la prima reazione aveva innalzato le loro probabilità di sopravvivenza. Andò proprio così. Inoltre, quando il team di Galli iniettò anticorpi IgE nei topi che non erano stati esposti al veleno, anche questi ultimi si rivelarono più protetti contro una dose potenzialmente letale.
Medzhitov fu entusiasta di leggere l'articolo di Galli nella stessa edizione di Immunity dove era pubblicato il suo. «Era bello vedere che qualcuno aveva ottenuto gli stessi risultati usando un modello molto diverso. È sempre confortante» dice Medzhitov.
Eppure, gli esperimenti lasciavano molte questioni in sospeso. In che modo esattamente il danno causato dal veleno d'ape portava a una risposta di IgE? E in che modo l'IgE proteggeva i topi? Queste sono alcune delle domande su cui il team di Medzhitov sta investigando. Mi ha mostrato alcuni esperimenti quando l'ho visitato di nuovo il mese scorso. Siamo sgattaiolati dietro un enorme congelatore che bloccava il corridoio, intrufolandoci nella stanza dove la ricercatrice Jaime Cullen passa gran parte del suo tempo. Ha messo una provetta con del liquido rosa dentro a un microscopio e mi ha invitato a guardare una flottiglia di oggetti a forma di melone.
«Queste sono le cellule che causano tutti i problemi» mi ha detto Medzhitov. Stavo osservando dei mastociti, gli agenti chiave delle reazioni allergiche. Cullen sta studiando come gli anticorpi IgE si legano ai mastociti rendendoli sensibili, o in alcuni casi ipersensibili, agli allergeni.
La previsione di Medzhitov è che questi esperimenti dimostreranno che la rilevazione di allergeni è come un sistema antifurto domestico. «Non ci si accorge della presenza di un ladro dalla sua faccia, ma da un vetro rotto». Il danno causato da un allergene risveglia il sistema immunitario che raccoglie le molecole nelle vicinanze e produce anticorpi. Ora che il criminale è stato identificato, sarà più facile catturarlo la prossima volta che cerca di entrare.
Le allergie hanno molto più senso in termini evolutivi se immaginate come un sistema antifurto, sostiene Medzhitov. Le sostanze chimiche tossiche, che siano veleno di animali o di piante, hanno minacciato a lungo la salute dell'essere umano. Le allergie avrebbero protetto i nostri antenati sbarazzandosi di queste sostanze e il malessere provocato dall'esposizione a questi allergeni può averli spinti a cercare altri luoghi più sicuri nei dintorni.
Come molti sistemi di adattamento, le allergie non erano perfette. Abbassavano le probabilità di morire a causa delle tossine, ma non eliminavano il rischio. A volte il sistema immunitario ha reazioni eccessive pericolose, come scoperto da Richet e Protier quando somministrarono la seconda dose di allergene che uccise i cani. E il sistema immunitario a volte se la prende con molecole innocue rispondendo a un allarme allergico. In generale però, sostiene Medzhitov, i benefici delle allergie superavano gli inconvenienti.
L'equilibrio si è incrinato con la modernità della vita occidentale, aggiunge. Con il proliferare di sostanze chimiche sintetiche, ci esponiamo a una gamma sempre più ampia di composti potenzialmente dannosi, che possono provocare reazioni allergiche. I nostri antenati potevano evitare gli allergeni spostandosi in un'altra zona della foresta, ma noi non possiamo farlo così facilmente. «Nel nostro caso specifico l'ambiente da cui dovremmo scappare sono le nostre case» spiega Medzhitov.
Gli scienziati stanno prendendo questa teoria molto seriamente. «Ruslan è uno degli immunologi più importanti del mondo» ha detto Galli. «Se pensa che la sua teoria sia valida, sono sicuro che riuscirà a suscitare interesse».
Dunne, al contrario, non crede che la teoria di Medzhitov possa spiegare tutte le allergie. Medzhitov sta sottovalutando l'enorme diversità delle proteine che Dunne e altri stanno trovando sulla superficie dei vermi parassiti, proteine che potrebbero avere corrispondenti mimetici in un'ampia fascia di allergeni nel mondo moderno. «Io investo sulla teoria dei parassiti» afferma.
Nei prossimi anni Medzhitov spera di persuadere gli scettici con un altro esperimento. Difficilmente porrà fine al dibattito, ma risultati positivi porterebbero molte più persone ad avvicinarsi alla sua teoria e forse a una rivoluzione rispetto al modo in cui curiamo le allergie.
Sul banco del laboratorio di Cullen c'è una scatola di plastica che contiene una coppia di topi. Ci sono altre dozzine di queste scatole nello scantinato dell'edificio. Alcuni sono topi comuni, altri no: utilizzando l'ingegneria genetica il team di Medzhitov ha tolto a questi animali la capacità di produrre IgE e quindi di avere allergie.
Medzhitov e Cullen osserveranno questi topi per i prossimi due anni. Agli animali sarà risparmiata la sofferenza della rinite causata dai pollini che inevitabilmente passeranno nelle loro scatole con le correnti d'aria, ma Medzhitov prevede che gli effetti collaterali saranno peggiori. Incapaci di combattere pollini e altri allergeni, lasceranno che queste molecole tossiche entrino nel loro corpo, danneggiando organi e tessuti.
«Non è mai stato fatto prima, quindi non sappiamo quali conseguenze avrà» dice Medzhitov.
Ma se questa teoria è corretta, l'esperimento rivelerà che le allergie ci forniscono uno scudo invisibile.
Anche se l'esperimento dovesse dare i risultati previsti, Medzhitov non crede che le sue idee sulle allergie avranno facilmente la meglio (come è successo per la teoria riguardo i recettori di tipo Toll). L'idea che le reazioni allergiche siano una brutta cosa è inculcata nelle menti dei medici. Secondo lo scienziato «ci sarà molta resistenza».
Comprendere lo scopo delle allergie può però portare a cambiamenti epocali nel modo in cui vengono curate. «Una delle implicazioni della nostra visione è che tentare di bloccare completamente le difese allergiche non è una buona idea» spiega. Al contrario, gli allergologi dovrebbero comprendere perché una minoranza di persone trasforma una reazione protettiva in una reazione di ipersensibilità. «È come per il dolore» dice Medzhitov, «non provare dolore può essere fatale, troppo dolore non va bene. Il giusto sta nel mezzo».
Per il momento, comunuque, Medzhitov si accontenterebbe se le persone smettessero di vedere le allergie come una malattia, nonostante il mistero in cui sono immerse. «Starnutiamo per proteggerci. Il fatto che non ci piaccia starnutire è una gran seccatura» mi dice con un'alzata di spalle, e aggiunge: «ma all'evoluzione non interessa un bel niente».
Questo articolo di Carl Zimmer è stato pubblicato per la prima volta su Mosaic il 7 aprile 2015 ed è ripubblicato qui con licenza Creative Commons. Traduzione di Sara Zapponi.