Quando si parla di preistoria, si tende a cadere in semplificazioni eccessive, motivate dalle poche informazioni disponibili: accade anche con la paleodieta, il regime alimentare ispirato al menù dei nostri antenati vissuti prima dell'avvento dell'agricoltura, da 2,6 milioni a 10 mila anni fa.
ritorno alle origini? Chi lo segue è chiamato a rinunciare ai prodotti della moderna lavorazione dei cibi (zuccheri complessi e derivati dei cereali, latte e latticini, legumi, alimenti processati) in favore di frutta, carni magre e frattaglie, pesci grassi, semi, miele, verdure appena spuntate, tuberi, frutta secca.
onnivori doc. Dal punto di vista scientifico, questa generalizzazione non ha molto senso. Che cosa mangiavano i nostri antenati? Davvero di tutto, in base alle risorse e all'habitat disponibili. Qualunque semplificazione troppo restrittiva del loro regime alimentare va guardata con cautela: è la tesi sostenuta da Ken Sayers e C. Owen Lovejoy, due ricercatori e antropologi americani, in un articolo pubblicato su The Quarterly Review of Biology.
che cosa c'era nel piatto? Per scoprirlo, la ricerca si è concentrata su un arco di tempo compreso tra i 6 e gli 1,6 milioni di anni fa, prima e dopo l'apparizione dei primi utensili in pietra lavorata. Il periodo analizzato vede come protagonisti ominidi del genere Ardipithecus, Australopithecus e Homo (non sono inclusi i Sapiens).
Gli scienziati hanno preso in considerazione studi precedenti compiuti su rilievi archeologici, su analisi fossili e sul comportamento di animale. Anche l'uomo, come gli altri animali, si nutre per sopravvivere: per avere la forza di riprodursi, difendersi, evitare i predatori.
metodi diversi. Alcuni degli studi analizzati ricavano dallo smalto dentale delle mandibole preistoriche informazioni sulla percentuale di piante legnose, o di natura erbacea, consumate dagli ominidi. Altri cercano indizi nei resti di tartaro, negli escrementi o nei segni lasciati da strumenti di pietra sulle ossa animali. Per esempio, si è così scoperto che 2,6 milioni di anni fa consumavamo ossa e midollo di antilopi: non si sa se cacciate o già ridotte in carcasse.
Queste ricerche ci dicono a grandi linee cosa c'era sul menù: tuberi, semi, vertebrati e invertebrati, foglie e radici. Ma non rivelano quale importanza avesse ciascun cibo negli equilibri alimentari, né cosa differenziasse gli ominidi dai primati (che pure si nutrono di queste pietanze).
quel che passa il convento. Per avere un quadro più completo gli scienziati sono ricorsi alla teoria del foraggiamento ottimale (OFT, Optimum foraging theory), che utilizza modelli statistici per predire quale cibo venga massimamente ricercato in una data situazione.
Una regola d'oro di questa teoria è che, quando una risorsa è abbondante, si tende a specializzarsi nel suo reperimento; mentre quando le risorse energetiche e facili da reperire scarseggiano, si tende ad ampliare la dieta, accontentadosi di quello che c'è.
di bocca buona. Vale più o meno per tutti gli animali, per le scimmie e anche per l'uomo. Un gruppo di ricerca dell'Indiana University ha applicato il modello all'Australopithecus boisei, vissuto in Africa orientale 2 milioni di anni fa. I grossi molari superiori dell'ominide gli sono valsi il soprannome di "Uomo schiaccianoci". Ma lo studio ha individuato una grande varietà di cibi potenziali e di possibili pattern migratori, che fanno pensare che i denti servissero per mangiare anche semi e tuberi, in assenza di altre tipologie di cibo.
D'altro canto, i nostri antichi antenati non potevano vivere di sola caccia. Anche l'uomo più veloce non riesce a tenere il passo di un coniglio: era necessario ampliare i propri gusti.
flessibili e contenti. Le semplificazioni assolute della dieta preistorica - conclude lo studio - non tengono conto dell'incredibile complessità della storia umana. Se l'uomo riuscì ad uscire dall'Africa e a espandersi in tutto il mondo, non in virtù di un rigido mix di carboidrati, grassi e proteine. Ma grazie alla sua capacità di adattamento, a tavola e non solo.