La storia dell’omeopatia ha ormai 200 anni e l’ultimo capitolo l’ha scritto per ora l’Australian National Health and Medical Research Council (NHMRC), il più importante istituto australiano di ricerca medica.
NHMRC nel 2015 ha realizzato la più completa analisi scientifica di circa 1.800 ricerche sull’omeopatia e ha concluso che non esistono patologie per le quali sia provata l'efficacia reale dell'omeopatia. Coloro che la scelgono mettono a rischio la propria salute se rifiutano o rimandano trattamenti che invece hanno dato prova scientifica di essere salutari ed efficaci.
Non è la prima volta che la scienza ufficiale smonta l’omeopatia. Era già successo nel 2002, nel 2010 e nel 2014.
La storia dell’omeopatia. La pubblicazione di NHMRC non convincerà probabilmente chi crede nell’omeopatia, sviluppata alla fine del ’700 da un medico tedesco, Samuel Hahnemann. Allora la medicina tradizionale non sapeva diagnosticare le malattie; si limitava a curare i sintomi con “terapie” spesso più letali dei malanni, soprattutto salassi e clisteri.Tanto letali che nel 1860, in una riunione fra colleghi, Oliver Wendell Holmes, dell’Università Harvard di Boston, aveva affermato: «Sono fermamente convinto che se l’intera materia medica attualmente usata potesse essere gettata in fondo al mare, sarebbe tanto di guadagnato per l’umanità, e... tanto peggio per i pesci».
In questo panorama la cura di Hahnemann era un passo avanti: anche se non guariva, almeno non faceva danni. E infatti alcuni studi epidemiologici sulle epidemie del passato hanno dimostrato che la terapia di Hahnemann salvava più malati della terapia tradizionale.
Come funziona l’omeopatia. Hahnemann si era convinto che la stessa sostanza che nelle persone sane e ad alte dosi causa una malattia, a dosaggi infinitesimali nei malati la potesse curare. La diluizione secondo Hahnemann rendeva infatti più potenti le pozioni, che venivano ulteriormente potenziate da ripetute percussioni verticali sulla Bibbia. I suoi rimedi conservano i nomi latini originali: Mephitis putorius è l’estratto di ghiandola anale di puzzola, ed è usato contro la tosse asinina; Pediculus capitis, il pidocchio dei capelli, cura psoriasi, prurito ed eruzione alle mani; Pulex irritans, il pidocchio del corpo, è consigliato per i dolori mestruali. Ma niente paura: neppure le tecniche di analisi più sofisticate scoverebbero traccia delle proteine della puzzola o del pidocchio nei preparati omeopatici.
Lo garantisce una legge matematica scoperta nel 1811 da un nobile piemontese, Amedeo Avogadro, in base alla quale si può calcolare che già una diluizione alla 12ma centesimale (12CH), vedi gallery qui sotto per una spiegazione, contiene 0,6022 molecole, vale a dire nessuna. Le diluizioni successive quindi diluiscono acqua con acqua.
... di essere inquinata? Effettivamente l’omeopatia contrasta con tutte le basi molecolari della moderna farmacologia. «L’azione farmacologica deriva dall’inserirsi di una molecola come una chiave in una serratura della cellula, un recettore» dice Luigi Garlaschelli, ricercatore di chimica all’Università di Pavia e membro del Cicap (Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale).
«Senza molecola o senza recettore non si ha azione farmacologica. Se l’omeopatia dovesse funzionare sarebbe quindi grazie a qualche principio ancora sconosciuto». Notizia tranquillizzante, questa, perché se l’acqua conservasse la memoria di ciò che ha contenuto, si ricorderebbe anche di tutti gli inquinanti che ha trasportato...
Staffetta chimica. Se non c’è effetto farmacologico, allora su cosa si basano i successi dell’omeopatia? Sull’effetto placebo, che gioca un ruolo importante anche nella medicina tradizionale. «Non è, come molti sostengono, un fenomeno psicologico » spiega Jon Kar Zubieta, docente di psichiatria e radiologia all’University of Michigan. «È un fenomeno fisico scientificamente dimostrato e documentato dalle tecniche di diagnostica per immagine, come la Pet (tomografia a emissione di positroni) e l’Mri (risonanza magnetica), che fotografano in tempo reale l’attività cerebrale ».
La ricerca ha dimostrato che la trasmissione delle sensazioni spiacevoli, che in medicina spesso corrispondono ai malesseri, è una staffetta chimica che, dalle terminazioni nervose presenti nel corpo e sugli organi, passa l’informazione di cellula in cellula fino al cervello, dove le sensazioni vengono etichettate come “dolore”,“prurito”, “nausea”, “freddo”, “caldo” ecc. Questo sistema è detto sistema nocicettivo, cioè della percezione delle sensazioni sgradevoli.
Parallelamente, però, ne esiste un altro, detto antinocicettivo, che contrasta le sensazioni sgradevoli. Qui gli attori sono le endorfine, sostanze simili all’oppio prodotte naturalmente dal cervello nelle zone deputate alla percezione delle sensazioni sgradevoli, che si inseriscono nella staffetta chimica nocicettiva riducendo o addirittura bloccando la diffusione dei messaggi negativi. In particolare alcuni recettori sono gli stessi sui quali agiscono i farmaci antidolorifici e le droghe. Insomma, non importa molto che cosa si inserisce in questi recettori, l’effetto è sempre lo stesso: le sensazioni spiacevoli si riducono.
Troppi farmaci. Questo sistema antidolorifico naturale si attiva quando siamo convinti di essere curati, anche se la cura è acqua fresca. E funziona anche negli animali, che sanno benissimo quando sono curati. «Per far aumentare gli oppioidi endogeni basta sentirsi dire che il farmaco che si sta ricevendo è un analgesico; questo in effetti riduce il dolore di circa il 28%» dice Zubieta. Su questa reazione si baserebbe l’effetto dell’omeopatia. Anche i pazienti di Ippocrate, il fondatore della medicina occidentale, sostenevano che le sue cure erano efficaci, ma oggi sappiamo che lo erano per la capacità dell’organismo di curarsi da solo e per l’effetto placebo. La cosa interessante è che questo effetto agisce anche quando si somministrano farmaci tradizionali. Secondo alcune ricerche, il 35-45% delle prescrizioni odierne non ha alcun effetto specifico sulle malattie in trattamento.
Ma la medicina tradizionale ha uno svantaggio rispetto all’omeopatia: porta con sé gli effetti collaterali, a volte gravi, che i rimedi omeopatici non hanno. Andrea Dei, docente di chimica generale e inorganica all’Università di Firenze, benché critico nei confronti dell’omeopatia, ricorda: «Su 10 farmaci della medicina tradizionale, 6 sono efficaci e 4 no. Dei 6 efficaci 4 non hanno effetti collaterali, mentre 2 hanno effetti indesiderati duraturi. Quanto ai farmaci che non apportano benefici, 3 su 4 hanno effetti collaterali». Se è vero che gli antibiotici salvano vite, è altrettanto vero che 7 prescrizioni su 10 sono errate. E che si ricorre agli antipiretici anche con una febbre a 38 °C, quando sarebbe quasi sempre meglio non intervenire. Gran parte dei malesseri (cefalee, nausea, tosse, mal d’orecchi, di gola), infatti, guariscono da soli.
Acqua e menta. In conclusione, se è vero, e dimostrato, che l’omeopatia non ha basi scientifiche, è vero anche che fa meno danni dei farmaci sintomatici tradizionali di cui si abusa per eliminare i sintomi senza curare la malattia. In questi casi l’unica soluzione è un medico preparato, che usi l’omeopatia per sfruttare l’effetto placebo, e prescriva i cambiamenti di dieta e stile di vita utili a ridurre i malesseri (fumo, alcol, poco sonno, scarsa attività fisica, alimentazione sbagliata sono la fonte di molti malesseri). E che sia in grado di diagnosticare in tempo una vera malattia, che richieda un intervento farmacologico. Quanto ai genitori, per curare molti malesseri dei propri pargoli potrebbero usare Aq. Menth. Pip., un cavallo di battaglia delle preparazioni dei farmacisti di una volta. Sotto questa sigla si nasconde... “acqua alla menta piperita”: un potentissimo placebo.
Poche gocce in un bicchiere o su una zolletta di zucchero, somministrate con la serietà adatta all’occasione, possono attivare il sistema antinocicettivo. Senza danni collaterali. E a costo zero.
Tratto e adattato da Focus 157