La Giornata mondiale della prematurità (World Prematurity Day), celebrata il 17 novembre dal 2011 in più di 60 Paesi, ha l'obiettivo di sensibilizzare l'opinione pubblica su un problema allarmante spesso sottovalutato, dando voce alle famiglie dei piccoli pazienti che lottano per la vita.
I dati italiani. In Italia, secondo il Ministero della Salute, nascono ogni anno oltre 30.000 prematuri (il 7% del totale). La Società Italiana di Neonatologia ha però rilevato che nelle donne che nel nostro Paese hanno contratto la covid durante la gravidanza, la prematurità ha avuto un'impennata, con il 19,7% di nascite pretermine.
Purtroppo, nonostante i progressi della medicina, grazie ai quali sempre più spesso i nati prematuri riescono a sopravvivere, il killer numero uno dei neonati è ancora la nascita prematura. I bambini che nel mondo nascono prima delle 37 settimane di gestazione, sono circa uno su dieci, 15 milioni l'anno: oltre un milione di loro muore, spesso nelle prime ore di vita, per complicazioni collegate alla prematurità, dai problemi respiratori all'immaturità degli organi.
La nascita prematura interessa famiglie ricche e povere, anche se in percentuali e per cause molto diverse. Il tasso più alto di mortalità per nascita prematura (circa 16 decessi ogni 1.000 nascite) si ha nei paesi dell'Africa occidentale, Liberia e Sierra Leone.
Le cause. Perché a un certo punto della gravidanza, in alcune donne si innesca il parto prematuro? Gli scienziati non hanno ancora una risposta precisa. Si conoscono i fattori di rischio, che nei Paesi in via di sviluppo e in quelli sviluppati sono completamente diversi. Nei Paesi poveri, sono soprattutto le infezioni della madre durante la gravidanza e le condizioni di vita pesanti a contribuire al rischio; in quelli ricchi, invece, influisce l'età sempre più avanzata della madre, l'uso delle tecniche di riproduzione assistita, e fattori come l'ipertensione e l'obesità.
Un terzo dei bambini nasce prematuro, soprattutto nei Paesi industrializzati, per "scelta", quando complicazioni durante la gravidanza, come la pre-eclampsia, rendono preferibile ricorrere a un parto cesareo anticipato.
Genetica o stress? Forse ci sono fattori genetici che incidono. Sicuramente le infezioni, anche quelle più comuni, sembrano avere un ruolo nell'innescare il parto prematuro. Perfino lo stress psicologico della madre, probabilmente in sinergia con altri fattori come l'infiammazione, sembra in grado di dare il via al parto quando non è ancora il momento, ma non si sa quali siano i processi biologici in gioco, e in che cosa esattamente i meccanismi del parto a termine differiscano da quello prematuro.
In diversi centri di ricerca si stanno dedicando risorse e attenzione crescente alla comprensione del problema e alle misure di prevenzione. Sono per esempio in corso studi per individuare dei marcatori biologici che, con un esame del sangue o dell'urina, possano individuare in modo più attendibile le donne maggiormente a rischio.
Cure low-tech che funzionano. Trent'anni fa, la maggior parte dei bambini nati a 28 settimane di gestazione, dodici settimane prima del tempo, non sopravviveva oltre il primo anno. Oggi, il 90 per cento ce la fa, anche se questa percentuale vale per i Paesi sviluppati. La situazione è diversa nei Paesi poveri, ma ci sono "tecnologie" che sembrano funzionare ovunque. Per esempio, la cosiddetta tecnica della madre canguro, che consiste nel tenere il bambino a stretto contatto di pelle con la madre, sembra per esempio contribuire alla sopravvivenza dei neonati prematuri, come anche l'allattamento al seno, o la disponibilità di dispositivi semplici per la ventilazione meccanica.