Di solito vengono etichettati come “malati immaginari” dopo una serie di visite specialistiche che escludono una dopo l’altra patologie più o meno gravi, e si ritrovano a dover gestire nella vita quotidiana un senso di stanchezza e di debilitazione che rende difficile muoversi, concentrarsi, lavorare.
Sono le persone affette dalla cosiddetta sindrome da affaticamento cronico, un disturbo misterioso che finora è stato pochissimo preso sul serio dalla comunità scientifica, sia per l’incapacità di identificare una causa precisa dei sintomi che i pazienti descrivono, sia per l’eterogeneità delle manifestazioni di questa presunta malattia.
Ora qualcosa sta cambiando: negli Stati Uniti, in seguito alle pressioni di gruppi di attivisti e malati, la sindrome da stanchezza cronica si sta guadagnando attenzione da parte del mondo della ricerca, attenzione che porterà presumibilmente a nuovi finanziamenti per studiarla.
La stanchezza che non passa mai. Il racconto tipico dei pazienti segue più o meno sempre lo stesso copione: “mi sentivo benissimo, un giorno mi è venuta la febbre e da allora non sono più stato come prima”.
«È come svegliarsi un giorno con un’influenza che non guarisce mai», ha dichiarato in un’intervista alla rivista The Atlantic uno dei malati.
I pazienti tipici sono persone tra i 20 e i 40-50 anni, più spesso donne. Il tratto che li accomuna è che si sono trovati in questa situazione dopo un’infezione virale. I sintomi riportati sono i più vari: il più caratteristico è una spossatezza fisica che si esaspera dopo qualunque sforzo, anche minimo, fisico o mentale, e poi dolori muscolari e articolari, mal di testa, problemi di concentrazione e di memoria.
Non ci sono test di laboratorio per diagnosticarla. Dopo avere escluso con tutti i possibili esami, spesso dopo vari pellegrinaggi da uno specialista all’altro, le patologie conosciute con sintomi comuni - tumori maligni, malattie dei reni o del fegato, disturbi autoimmuni o ormonali, depressione - se i sintomi continuano per oltre sei mesi si comincia a parlare di sindrome da affaticamento (o stanchezza) cronica.
Molti di quelli che ne soffrono spesso diventano incapaci di lavorare, o lamentano sintomi che limitano la loro vita sociale. Non si sa neppure quanti siano i malati: l’incidenza viene stimata tra l’0,4 e l’1 per cento, il che non ne fa neppure una malattia poco comune, nonostante sia nella lista di quelle descritte sul sito dell’Osservatorio malattie rare.
origini misteriose. Per molto tempo i medici hanno ritenuto la presunta sindrome un insieme di sintomi psicosomatici senza una precisa causa biologica.
E alla causa del riconoscimento del disturbo come una vera e propria malattia non ha sicuramente giovato la denominazione di stanchezza cronica, che facilmente si presta all’ironia e alle battute.
In realtà, in origine questa costellazione di sintomi era stata battezzata sindrome cronica da virus di Epstein-Barr perché si sospettava che responsabile fosse un’infezione da questo virus. Studi successivi hanno però smentito che questo collegamento, se esiste, sia l’unico e nel 1988 alla malattia è stato dato il nome attuale.
Sulle cause, però, i ricercatori brancolano nel buio. Alcuni studi hanno suggerito che potrebbe trattarsi di una malattia autoimmune, forse innescata da un’infezione. Altri la riconducono a un’infiammazione del sistema nervoso, altri ancora pensano all’infiltrazione di proteine e residui di batteri attraverso le pareti intestinali. Finora però non c’è alcuna certezza.
Nuovi studi. Data l’eterogeneità dei sintomi, e il fatto che non si sia neppure sicuri su come classificarla, ci sono stati anche scarsi finanziamenti per studiarla. Ma forse siamo a un punto di svolta.
I National Institutes of Health (NIH, agenzia del Dipartimento della salute degli Stai Uniti) hanno annunciato che “aumenteranno gli sforzi per far avanzare la ricerca” su questa misteriosa malattia. E gruppi di ricercatori di vari dipartimenti dei NIH stanno organizzando uno studio clinico sui pazienti per cercare di individuare il tipo di risposta immunitaria anomala che si pensa possa essere alla base della patologia. Non si sa ancora quale sarà l’entità dei finanziamenti dedicati, ma secondo il direttore, Francis Collins, si tratterà di un aumento considerevole rispetto allo stato attuale.
Già ad aprile di quest’anno l’americano Institute of Medicine (IOM) aveva pubblicato un rapporto in cui proponeva alcuni criteri più precisi e stringenti per diagnosticare la malattia. Gli autori invitano poi a superare sia la definizione fuorviante di stanchezza cronica, sia quella di encefalomielite mialgica, stabilita di recente in alcune classificazioni internazionali, dal momento - sostiene il rapporto - che non ci sono evidenze che il disturbo sia provocato da un’infiammazione del cervello, e inoltre i dolori muscolari non sono tra i sintomi più importanti.
A richiamare l’attenzione sulla sindrome ha probabilmente contribuito la vicenda di Brian Vastag, quarantatreenne giornalista scientifico del Washington Post che tre anni fa, dopo un’influenza apparentemente banale, si è ritrovato nella schiera dei sofferenti di fatica cronica. Sano, sportivo, abituato a viaggiare per il mondo, si è ritrovato da un giorno all’altro a faticare per condurre una vita normale.
L’estate scorsa aveva indirizzato una lettera appassionata proprio al direttore dei NIH, ed è probabile che anche il suo appello sia valso a qualcosa.
La Controversia. Ma non tutti la pensano allo stesso modo. In Gran Bretagna, per esempio, sono appena usciti alcuni studi secondo cui i pazienti afflitti dalla sindrome sono migliorati grazie a programmi di graduale ripresa dell’attività fisica e forme specializzate di psicoterapia: come dire che all’origine della malattia non c’è un problema biologico ma psicologico. Il dibattito rimane aperto.