Una famiglia italiana con una sensibilità al dolore notevolmente ridotta ha finalmente potuto scoprire le cause genetiche della rara condizione ereditaria, una forma mai osservata di analgesia congenita. Lo studio condotto dall'University College London e pubblicato su Brain, potrebbe servire a studiare nuove terapie per chi è condannato al problema opposto, ossia è afflitto, per varie ragioni, da forme di dolore cronico.
Insensibili quanto? La ricerca ha interessato un nucleo familiare in cui sei persone (una madre di 78 anni, due figlie di mezza età e i loro tre figli) hanno una insensibilità al dolore mai documentata prima. Non si accorgono di ustioni o fratture, oppure avvertono un minimo dolore iniziale che scompare molto rapidamente: una delle donne studiate si è rotta una spalla sciando e poi ha continuato come se niente fosse, guidando l'auto per tornare a casa e dimenticandosi poi di fare i controlli. Alcune fratture ossee sono state scoperte solo al momento dello studio.
Le persone studiate, che sono anche poco sensibili alla capsaicina (il "piccante" del peperoncino) hanno tuttavia una normale densità delle fibre nervose intraepidermiche: i nervi sono lì dove dovrebbero essere, ma non funzionano a dovere.
Le radici genetiche. Gli studi sulle persone con analgesia congenita non sono nuovi: ne sono state identificate almeno altre due forme, ma la loro scoperta non ha finora portato a rivoluzioni in campo farmaceutico. James Cox, ricercatore esperto di nocicezione dell'University College London, ha studiato il DNA estratto dai campioni di sangue di tutta la famiglia, e ha trovato in una mutazione puntiforme (cioè un cambiamento di un singolo nucleotide) del gene ZFHX2 la causa della "sindrome di Marsili", come è stata chiamata questa forma di analgesia (dal cognome della famiglia).
Ulteriori analisi sui topi, geneticamente modificati per esprimere la stessa forma alterata del gene - o per non esprimerlo affatto - hanno chiarito che esso regola un discreto numero di altri geni implicati nella segnalazione di stimoli dolorosi.
Nuove possibilità. «Identificando questa mutazione abbiamo aperto una strada completamente nuova degli studi sui farmaci antidolorifici. Con ulteriori ricerche che chiariscano come questa mutazione influisca sulla sensibilità al dolore, e se siano coinvolti altri geni, potremmo sviluppare nuovi farmaci», afferma Anna Maria Aloisi, professoressa dell'Università di Siena, che aveva inizialmente identificato la famiglia.
L'obiettivo è trovare cure più efficaci per i pazienti con dolore cronico, spesso insensibili ai farmaci disponibili, ma anche trattamenti per chi, non sentendo il dolore, potrebbe mettersi in situazioni a rischio senza accorgersene.
La famiglia studiata ha fatto però sapere di essersi ormai abituata all'analgesia, e di non voler "guarire".