Il SARS-CoV-2 è un nuovo arrivato nella famiglia dei coronavirus umani, ma da quanto tempo conosciamo questi patogeni, con la loro caratteristica corazza proteica? Da poco più di mezzo secolo: la prima a osservarli fu una scienziata di Glasgow (Scozia), June Almeida, grazie a una pionieristica, per l'epoca, tecnica di microscopia. La donna, morta nel 2007 all'età di 77 anni, fu la prima a intuire una differenza tra i coronavirus e i virus dell'influenza, ma far accettare la nuova classificazione alla comunità scientifica non fu facile.
nuovi occhi sui virus. June Dalziel Hart (questo il suo cognome da nubile) era nata il 5 ottobre 1930 a Glasgow. Figlia di un conducente di autobus, si trovò costretta ad abbandonare gli studi a 16 anni perché non ottenne una borsa di studio per l'Università. Ebbe comunque un lavoro come tecnico di laboratorio all'Istituto di istopatologia del Glasgow Royal Infirmary, e dopo un trasferimento a Londra conobbe l'artista venezuelano Enriques Almeida, che sposò.
Si trasferì con il marito e la figlia in Canada e trovò presto un impiego all'Ontario Cancer Institute di Toronto. Fu lì che mise a punto quella che sarebbe diventata la sua più importante eredità scientifica: l'immunoelettromicroscopia (IEM), tecnica che consentiva una migliore osservazione dei virus grazie all'utilizzo di anticorpi specifici capaci di legarsi ad essi. Questo metodo le permise, nonostante la formazione accademica da autodidatta, di firmare alcune importanti pubblicazioni scientifiche sulle strutture virali, che attirarono l'attenzione di Anthony P. Waterson, a capo del dipartimento di microbiologia della Scuola di Medicina del St Thomas's Hospital di Londra.
Mai visti prima. June Almeida poté tornare a Londra, dove iniziò una proficua collaborazione insieme a David Tyrrell, che dirigeva l'Unità di ricerca sul raffreddore comune al St. Thomas. Analizzando le secrezioni nasali di volontari, Tyrrell si era accorto che alcuni virus in esse contenuti non si riproducevano nelle solite colture cellulari di laboratorio. Un campione virale in particolare, chiamato B814 e raccolto da un ragazzo di un collegio del Surrey con i sintomi di un comune raffreddore, sembrava diverso da qualunque altro virus del tratto respiratorio umano conosciuto.
Almeida e Tyrrell lo osservarono in apposite colture di organi e lo descrissero come "simile ai virus dell'influenza ma non proprio uguale". Aveva una configurazione "a corona" che Almeida aveva già visto mentre studiava le epatiti nei topi e le bronchiti infettive nei polli.
Si trattava insomma di una nuova scoperta, che però fu rigettata al primo tentativo di pubblicazione su una rivista scientifica perché le immagini furono ritenute "brutte foto di virus dell'influenza". I dati sulla nuova famiglia di virus ottenuti dal campione B814 furono sottomessi al British Medical Journal nel 1965, e le prime immagini dei coronavirus umani apparvero sul Journal of General Virology nel 1967. Fu Almeida a proporre a Nature il termine "coronavirus" per l'aspetto a corona delle proteine virali.
Dopo i coronavirus. La tecnica di imaging messa a punto da Almeida si rivelò rivoluzionaria in molti campi. Consentì di osservare per la prima volta il virus della rosolia e di compiere importanti passi in avanti nella comprensione delle strutture virali. Almeida concluse la sua carriera scientifica al Wellcome Institute di Londra, per poi ritirarsi e diventare insegnante di yoga. Negli anni '80, in qualità di consigliera scientifica, diede un importante contributo alle prime osservazioni al microscopio del virus dell'HIV.