Roma, 29 ott. (AdnKronos Salute) - In bancarotta per curarsi? Fortunatamente nel 2013 i fenomeni di impoverimento per spese socio-sanitarie 'out of pocket' (sostenute direttamente dalle famiglie) e spese 'catastrofiche' (cioè improvvise ed elevate) si sono ridotti: quasi 100.000 famiglie in meno risultano impoverite e 40.000 in meno soggette a spese catastrofiche; ma è un miglioramento illusorio: 1,6 milioni di persone in meno hanno sostenuto spese socio-sanitarie 'out of pocket' e più di 2,7 milioni hanno rinunciato a priori a sostenerle per motivi economici (2012). E per il 2014 si registra deciso aumento della spesa sanitaria out of pocket (+14,5%), che potrebbe peggiorare ancora la situazione. Lo evidenzia l'11° Rapporto Sanità a cura di Crea Sanità - Università Tor Vergata Roma, presentato oggi.
Sono chiamate a rinunciare prevalentemente le famiglie dei quintili medio-bassi, che spendono soprattutto per farmaci, visite ed esami diagnostici (80-90% delle spese socio-sanitarie out of pocket ). Si desume che il Ssn, a fronte di rischi di razionamento, ha preferito (con successo) salvaguardare le fasce più disagiate, a discapito però della classe media. Il mantenimento dei servizi non implica quindi la salvaguardia di un universalismo equilibrato: il non aggiornamento dei sistemi di esenzione e compartecipazione, pur salvaguardando le fasce meno abbienti, sembra penalizzare sempre più la classe media. Secondo il report, inoltre, la spesa sanitaria italiana è molto più bassa che negli altri Paesi europei: è inferiore a quella dei Paesi Eu14 del 28,7%, e la forbice (anche in percentuale del Pil) si allarga anno dopo anno. Non può quindi essere una preoccupazione il livello della spesa, secondo gli esperti di Tor Vergata.
Ancora, la quota di popolazione che dichiara di avere patologie di lunga durata o problemi di salute è in Italia inferiore a quella degli altri Paesi europei: buon livello di salute e basso livello di spesa confermerebbero l'efficienza della sanità italiana. Ma stiamo velocemente perdendo il nostro vantaggio in termini di salute; e il processo di convergenza sui livelli (peggiori) degli altri Paesi sembra avere accelerato negli ultimi 10 anni, quelli del risanamento finanziario. In particolare sembra più colpita la classe media, che evidentemente risente maggiormente della crisi e degli aumenti delle compartecipazioni.
L'Italia sembra aver destinato il 3,7% della spesa pubblica corrente a programmi di prevenzione e salute pubblica nel 2013, stando ai dati Oecd (rettificando in qualche modo il dato dello 0,5% diffuso lo scorso anno): una percentuale maggiore di diversi altri Paesi, ma certamente insufficiente; considerando il valore pro-capite, infatti, la spesa per la prevenzione in Italia, sempre secondo Oecd, sarebbe pari a 66,3 euro contro 99,5 in Germania e 131 in Svezia.
Dell'insufficienza degli investimenti nel settore negli anni passati è prova che nel 2014, a livello nazionale, la copertura per le vaccinazioni pediatriche si conferma non aver raggiunto il 95% (soglia minima raccomandata nel Piano nazionale della prevenzione vaccinale) per nessuno degli antigeni previsti, con difformità a livello regionale, e che le politiche sugli stili di vita sono praticamente ferme.