A distanza di qualche giorno dalla dichiarazione di emergenza globale (ma che significa?) da parte dell'Organizzazione mondiale per la sanità, arriva l'annuncio che tre ricercatrici dell'Istituto Nazionale Malattie Infettive "Lazzaro Spallanzani" di Roma hanno isolato il coronavirus, denominato 2019-nCoV/Italy-INMI1.
E mentre ci si chiede quanto tempo sarà necessario per ottenere un vaccino, vale la pena sottolineare come non sia tanto importante arrivare primi (e comunque, il primato europeo non spetta a noi perché ci hanno preceduto di qualche giorno i francesi dell'Institut Pasteur), quanto... arrivare in tanti: è importante infatti che il genoma venga sequenziato da più gruppi in diverse parti del mondo, per poter verificare se il virus è mutato oppure no. «Confrontando le sequenze genetiche che abbiamo per ora a disposizione, vediamo che sono tutte abbastanza simili», aveva dichiarato qualche giorno fa Vincent Enouf, vicedirettore del National Reference Center dell'Institut Pasteur. «I virus analizzati non presentano differenze notevoli, il che significa che il nuovo coronavirus non è mutato per diffondersi».
Come si isola un virus. A differenza dei batteri, molti dei quali possono essere coltivati in un terreno di coltura artificiale, per replicare un virus è necessario disporre di una cellula ospite viva. Le cellule infette vengono quindi coltivate e cresciute, per essere poi seminate in un terreno di coltura che verrà utilizzato come fonte di virus. I virioni (singole particelle virali) vengono quindi separati dalle cellule ospiti attraverso i metodi di centrifugazione o di filtrazione, completando il processo di isolamento.
Perché è importante. Avere il virus in coltura permette innanzitutto di studiarlo per «perfezionare i metodi diagnostici esistenti e allestirne di nuovi», spiegano gli esperti: in altre parole, diventa più facile e veloce capire se una persona è infetta oppure no. È inoltre più semplice studiare la malattia per mettere a punto un vaccino (al quale stanno già lavorando diverse organizzazioni): «Avere a disposizione il virus in laboratorio ci permette di effettuare test sierologici (studiare cioè le reazioni antigene-anticorpi, ndr) e valutare l'efficacia dei farmaci sperimentali», spiega Maria Capobianchi, direttrice del laboratorio di virologia dello Spallanzani.