Salute

Insufficienza cardiaca, per abbassare il rischio bastano sei anni di esercizio fisico

Non è mai tardi per adottare uno stile di vita che protegga da questa condizione: già sei anni di attività fisica regolare intorno alla mezza età riducono il rischio in modo importante. Ma vale anche l'opposto: sei anni in poltrona sono deleteri per la salute del cuore.

Se una persona ha avuto uno stile di vita sedentario per gran parte della sua giovinezza, e inizia a praticare sport a mezza età, è comunque utile per la salute del suo cuore? O se al contrario ci si impigrisce proprio dopo gli "anta", dopo una vita attiva, quanto danno si arreca?

In base a una ricerca statunitense compiuta sui dati di oltre 11 mila pazienti, quando si tratta di attività fisica l'importante è iniziare - e proseguire, con costanza, per qualche tempo: bastano sei anni di esercizio regolare per vedere calare in modo significativo il rischio di sviluppare insufficienza cardiaca, una sindrome cronica dovuta all'incapacità del cuore di fornire sangue all'organismo in maniera adeguata. La stessa analisi ha trovato anche che sei anni di inattività sono sufficienti a far crescere in modo importante il rischio di incorrere in questa condizione, tra le maggiori cause di ospedalizzazione per gli over 65.

Se di più, meglio ancora. Naturalmente, chi si impegna per un arco di tempo maggiore ha soltanto da guadagnarci: 150 minuti di attività fisica alla settimana, a ritmi da moderati a sostenuti, abbassano le probabilità di insufficienza cardiaca in mezza età del 31%. Quello che lo studio vuole sottolineare, piuttosto, è che non è mai tardi per cominciare: chi in età adulta passa dalla sedentarietà alla dose settimanale di esercizio raccomandata può arrivare a una riduzione del rischio fino al 23%.

Database. Il lavoro pubblicato sulla rivista Circulation, è di tipo osservazionale: stabilisce cioè una correlazione, e non un rapporto causa effetto, tra moto e salute del cuore. Tuttavia, il numero di soggetti su cui si è lavorato è molto ampio: 11.351 partecipanti dell'età media di 60 anni, per il 57% donne, seguiti tra il 1987 e il 1989 per un altro studio su temi analoghi (l'Atherosclerosis Risk in Communities, ARIC).

Le condizioni cardiovascolari dei partecipanti sono state monitorate in media per 19 anni; alla prima e alla terza visita, a sei anni di distanza, incluse nel protocollo sperimentale, i pazienti hanno compilato questionari sul livello di attività fisica praticata (insufficiente, intermedio o raccomandato). Per livello raccomandato si intendono, secondo le linee guida dell'American Heart Association, almeno 75 minuti alla settimana di esercizio fisico di intensità sostenuta, o almeno 150 di attività moderata.

Cuori protetti. I risultati hanno evidenziato che anche chi aveva iniziato a muoversi con regolarità tra la prima e la terza visita, con "la scusa" dello studio, mostrava un rischio significativamente ridotto di insufficienza cardiaca: questo era sceso di circa il 12% nei 2.702 volontari che erano passati da livelli insufficienti a livelli intermedi o raccomandati, o da intermedi a raccomandati (rispetto a chi si era mantenuto costante su livelli di sport intermedi o nulli).

Nelle 2.530 persone che avevano invece diminuito l'attività nel corso dei sei anni, il rischio di insufficienza cardiaca è aumentato, rispetto ai colleghi più costanti, del 18%.

Quanta fatica? Anche il tipo di movimento conta: i ricercatori lo hanno calcolato in unità di equivalente metabolico (MET, una misura fisiologica che esprime il costo energetico di un'attività fisica). In pratica, una camminata veloce vale 3 MET al minuto, una corsa 7 MET, il salto alla corda 10 MET... Secondo i ricercatori, un incremento pari a 750 MET minuti (cioè il prodotto tra il costo in MET di una attività e la sua durata in minuti) per ogni settimana, nel corso di sei anni, porta a una diminuzione del rischio di insufficienza cardiaca del 16%. Raggiungendo il traguardo dei 1.000 MET minuti di sport settimanale, si ottiene una diminuzione del rischio di insufficienza cardiaca del 21%.

22 maggio 2018 Elisabetta Intini
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