Salute

Inquinamento e antibiotico-resistenza: una relazione pericolosa

Un'analisi mostra come all'aumentare dei livelli di inquinamento atmosferico corrisponda un aumento dell'antibiotico resistenza. Ma non è dimostrato un nesso di causalità.

L'inquinamento e l'antibiotico-resistenza sono due tra le maggiori minacce alla salute umana: ora uno studio pubblicato su Lancet Planetary Health Journal ha scoperto che, in combinazione, sono ancora più pericolose. Dati raccolti per quasi vent'anni in oltre cento Paesi in tutto il mondo rivelano infatti che un aumento nell'inquinamento atmosferico, in particolare di polveri sottili (PM2,5, particelle sospese nell'aria con dimensioni minori o uguali a 2,5 micron, 2,5 millesimi di millimetro), è connesso a un aumento dell'antibiotico-resistenza in ogni continente.

Lo studio. I dati raccolti riguardano la diffusione di PM2,5 in 116 Paesi dal 2000 al 2018, ed evidenziano come le polveri sottili possano contenere batteri antibiotico resistenti e geni resistenti, che possono essere trasportati tra diversi ambienti ed essere inalati direttamente dagli umani. In particolare quanto scoperto indica che l'antibiotico-resistenza è aumentata dell'1,1% per ogni 10% di incremento nella presenza di PM2,5, e che l'associazione si è ulteriormente rafforzata negli ultimi anni.

Una ragione di più. L'antibiotico-resistenza, scatenata principalmente dal cattivo uso e l'abuso degli antibiotici, colpisce persone di qualunque età e uccide 1,3 milioni di persone l'anno; l'esposizione a lungo termine ad aria inquinata è associata con lo sviluppo di malattie croniche cardiache, con l'asma e con il cancro ai polmoni. È chiaro dunque che abbiamo ora un motivo in più, se ce n'era bisogno, per cercare di ridurre l'inquinamento atmosferico.

Scenari futuri. Se nulla cambierà e l'inquinamento atmosferico continuerà a crescere, entro il 2050 i livelli di antibiotico-resistenza nel mondo potrebbero aumentare del 17%, il che significa che le morti premature connesse a questo fenomeno potrebbero salire a 840.000 l'anno.

Gli stessi autori riconoscono comunque alcune limitazioni dello studio: tra tutte, il fatto che la mancanza di dati in alcuni Paesi potrebbe aver influito sull'analisi generale e che lo studio è stato osservazionale, e quindi non dimostra alcun legame di causa effetto ma si limita a constatare un'associazione tra due fenomeni.

9 settembre 2023 Chiara Guzzonato
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