Il 6 settembre 2024 le autorità sanitarie del Missouri, Stati Uniti, hanno annunciato che un residente nello Stato aveva contratto l'influenza aviaria. Il paziente, che soffriva di importanti patologie pregresse, è stato ricoverato in ospedale in seguito alla comparsa di nausea, vomito, diarrea e debolezza, ma è poi completamente guarito ed è stato dimesso.
Se la notizia fosse stata tutta qui, non si sarebbe trattato di un'assoluta novità - sono 14 finora i cittadini statunitensi rimasti contagiati dall'H5N1, il virus dell'influenza aviaria. Il punto, però, è che questa persona non aveva avuto contatti con alcun animale infetto: non era stata vicino a uccelli selvatici né a pollame, gatti, mucche da latte, né aveva bevuto latte non pastorizzato, che da quando l'aviaria è arrivata negli allevamenti bovini risulta ufficialmente contaminato, e contaminante.
Un contagio che lascia perplessi. Tutti i casi precedenti riguardavano persone che erano state a stretto contatto con animali potenzialmente infetti. Come l'uomo abbia contratto l'influenza aviaria è dunque un mistero, e il caso aveva nei giorni scorsi sollevato nuove preoccupazioni sulla possibilità che il virus H5N1 potesse essersi evoluto per trasmettersi da uomo a uomo.
Secondo gli esperti dei CDC, i Centers for Disease Control and Prevention statunitensi, al momento non vi sono prove per ritenere che il virus abbia questa capacità, anche se un parziale sequenziamento del genoma del patogeno che ha infettato il paziente del Missouri ha evidenziato la presenza di due rare mutazioni.
Più attenti ai futuri vaccini. Nessuna delle due mutazioni è mai stata trovata in un essere umano con influenza aviaria, ed entrambe riguardano una proteina chiamata emoagglutinina, che aiuta l'H5N1 a legarsi alle cellule da infettare. Una delle mutazioni, la A156T, è stata finora individuata in meno dell'1% dei campioni virali isolati nelle mucche da latte, e sembra diminuire la capacità degli anticorpi di riconoscere e neutralizzare il virus.
Ciò non pare per ora rappresentare un problema per l'uomo - proprio perché non ci sono prove che il virus abbia imparato a trasmettersi da persona a persona - ma potrebbe costituire un intralcio alla creazione di un vaccino efficace contro l'H5N1. Studi precedenti hanno infatti dimostrato che il virus recante la mutazione A156T, causa un calo di 10-100 volte delle abilità di neutralizzazione del patogeno nei furetti trattati con la versione attualmente disponibile di candidati vaccini contro l'aviaria.
Sequenziamento parziale. La seconda mutazione era stata trovata finora soltanto in un campione virale isolato in una mucca da latte. Potrebbe in parte migliorare l'abilità del virus di legarsi a recettori del virus dell'influenza più prevalenti nell'uomo rispetto agli animali. Ma c'è da precisare che non è stato possibile sequenziare l'intero genoma del virus, a causa della scarsità di materiale genetico trovato nel campione del paziente del Missouri.
Anche la notizia, circolata all'inizio, della presenza di un familiare dell'uomo che aveva avvertito sintomi influenzali lo stesso giorno del paziente si è rapidamente sgonfiata. Questa persona non è infatti stata testata per l'influenza, e la contemporanea manifestazione dei sintomi nei due "malati" «non supporta la diffusione da persona a persona ma suggerisce un'esposizione comune», hanno concluso i CDC.